Inserto economico di 
 

Forte come un aquilone

Il 24 marzo in Afghanistan è morto un altro militare italiano, si chiamava Michele Silvestri. Le vittime italiane con quest’ultima sono a quota 50. Ogni volta che accade una tragedia simile, perché tutti quei morti, civili e militari, sono un dramma, del quale chi è vivo deve essere consapevole, ci chiediamo perché siamo ( ancora ) lì, se valga la pena restare. In questo blog sono già stati riportati i costi economici della guerra afghana, non li ripeteremo quindi. Quello che  è importante approfondire, a mio avviso, è il percorso tragico di una guerra che dura da 10 anni, le disgrazie e le speranze di cui è costellata.

L’Afghanistan è un paese pazzesco, assurdo, indefinibile. Incastonato nelle montagne più alte del mondo tra il minaccioso Iran e quella polveriera ( vero problema del Medio-Oriente) che è il Pakistan. L’Afghanistan è uno stato e non lo è. E’ una profusione di culture, colori, etnie disseminate tra deserti che coprono l’orizzonte e montagne che toccano il cielo. Una terra popolata da uomini stanchi, provati da una vita di stenti, in regioni ostili alla sopravvivenza umana, dove si passa dal caldo soffocante del giorno al freddo che di notte, nel deserto come in montagna, penetra nelle ossa. E’ un paese di pastori, che solcano terreni che solo loro conoscono. L’Afghanistan è un paese povero, sfortunato, ma invincibile. E’ una perla incastonata nella roccia, che tutti vogliono e di cui tutti bramano il possesso fin da quando questo mondo è nato. L’Afghanistan è onnipresente nei libri di storia come nelle strategie delle grandi potenze. Il primo a volerlo con tutte le sue forze fu Alessandro Magno. Il figlio di Filippo desiderava arrivare lì, oltrepassare le porte dell’Oriente, quello vero, quello raccontato nei sogni. Per quel paese perse la fiducia di molti suoi compagni, quel paese fu il limite geografico della sua sterminata campagna di conquista, lì, nell’Hindu Kush incontrò Rossane, la donna più bella che avesse mai conosciuto.  Prima e dopo le peripezie del Macedone, a conquistare l’Afghanistan ci provarono i persiani, senza successo.

Dopo di loro a tentare furono tutti, dalle popolazioni centro asiatiche a quelle orientali. Ma l’Afghanistan rimase lì, intatto, un paese che si difende da solo, con le sue montagne e i suoi deserti, indipendentemente dall’incapacità di chi lo governa. Resistette ai dardi infuocati, agli archi e alle catapulte dei macedoni, come nel XIX secolo tenne testa alle cannonate degli inglesi, anch’essi usciti sconfitti dal tentativo di conquista. E poi la prova del 9, il paese centro-asiatico non solo ha tenuto testa alle due superpotenze mondiali, ma è stato per loro causa di enormi danni, politici ed economici. In un caso, quello dell’URSS, fu l’inizio del declino. L’esercito del megalomane Breznev tornò a casa sconfitto e umiliato da un gruppo di Mujaheddin aiutato dagli Stati Uniti. Gli stessi Stati Uniti che sono ora impantanati in quello stesso paese da 10 anni
E’ una storia curiosa quella dell’Afghanistan quindi, teatro di conquiste mai avvenute, e al contempo di migliaia di morti innocenti. C’è chi dice( o diceva ) che ora gli americani siano lì per fare la guerra al terrorismo, chi sostiene che ci siano andati perché il suolo afghano è ricco di gas. Le risposte non ce le ha nessuno, quello che sappiamo è che la maggior parte dei contingenti occidentali è lì, da 10 anni. Per quel che riguarda l’Italia, le sue truppe combattono una guerra, negarlo sarebbe un atteggiamento da ipocrita. Possiamo chiamarla missione di pace, ma “vis pacem facis bellum”, come dicevano i nostri antenati romani, che di battaglie un po’ se ne intendevano, se vuoi la pace fai la guerra.

Però è innegabile il lavoro umano del nostro contingente, testimoniata anche dalla solidarietà che riceve da parte della popolazione afghana. Un modo tutto italiano di aiutare la gente, che ci è stato riconosciuto anche dal comando americano, a parole, ma ci è stato riconosciuto. Non ce ne possiamo andare, e nemmeno dobbiamo porci il problema se rimanere o no, ogni volta che muore un nostro militare. Quando si va in guerra, la morte dei propri soldati è un elemento che si deve considerare. C’è chi dice che stiamo violando la Costituzione, in un certo senso è vero. La violiamo perché siamo in guerra, anche se non ne siamo gli artefici ( parlo solo per gli italiani) , e l’Italia in teorie la guerra la ripudia. Esiste però un’alleanza militare alla quale abbiamo scelto di appartenere, il consenso politico per quella decisione fu unanime. Facciamo parte della NATO,  e per quanto ingiuste possano essere le sue decisioni, per quanto filoamericana essa possa essere, noi ci siamo dentro. Dalla guerra ingiusta, come tutte le guerre, e illegale, quella sì, in Iraq, ce ne siamo andati, e abbiamo fatto bene, non avremmo mai dovuto parteciparvi, quella è una macchia di vergogna nella storia italiana. La guerra in Afghanistan è questione diversa. Ufficialmente il ritiro totale delle truppe italiane e non dovrebbe avvenire nel 2014, questa è la parola di Barack Obama. Nel 2014 se andranno via gli alleati NATO, andremo via anche noi. Nel 2014 l’Afghanistan non sarà la Svizzera, quello che è importante è che i bambini afghani possano tornare a cacciare gli aquiloni.



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