Inserto economico di 
 

Breve ricostruzione di ciò che ha portato l’Iran e Israele ai ferri corti, con lo scomodo ruolo degli Stati Uniti. Le sanzioni sembrano non aver portato risultati: muovere guerra o accettare il rischio di proliferazione nucleare?

Questa storia che si dipana nelle arterie della politica internazionale inizia negli anni ’50. L’Iran era governato da Reza Pahlavi, filoamericano. Gli statunitensi non ebbero problemi ad appoggiare il programma per il nucleare civile proposto dallo Scià, che anzi ratificò nel 1970 il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP). Si iniziò a costruire un reattore a Bushehr, sulle coste del Golfo Persico. Al termine della Rivoluzione Iraniana (1979) le collaborazioni con i Paesi Occidentali furono immediatamente interrotte, e la persistenza del regime islamico fece sì che non vennero più riallacciate. Tuttavia la Russia di Eltsin offrì assistenza all’Iran, a partire dal 1990: nel 1995 si ricominciò a costruire il reattore I di Bushehr, mentre si estraeva uranio dalle miniere nei deserti intorno a Yazd, Iran centrale. Il metallo allo stato naturale è però innocuo, vista la bassa percentuale di Uranio 235, il responsabile dei processi di fissione. In un primo momento la Russia avrebbe dovuto vendere l’uranio arricchito, mentre successivamente l’Iran avrebbe restituito il combustibile esausto, a riprova degli scopi pacifici del suo programma nucleare. Nel 2002 un gruppo di dissidenti rivelò che nei pressi della città di Natanz veniva costruito un impianto segreto per l’arricchimento dell’uranio. La situazione si faceva problematica: il fatto che il materiale fosse prodotto in loco faceva temere che il regime potesse servirsene per produrre “bombe sporche (armi tradizionali che rilasciano scorie radioattive)” o, se fosse stato capace di svilupparne la tecnologia, per dotarsi di un arsenale nucleare. Varie ispezioni dell’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) non riuscirono a rintracciare resti di uranio arricchito nell’impianto di Natanz, ma questo non impedì, il 23 dicembre 2006, che il consiglio di sicurezza dell’ONU approvasse le prime sanzioni, rinforzate poi il 24 marzo 2007. In primo luogo veniva vietato l’export di armi iraniane, che però erano prevalentemente contrabbandate. Era anche proibito l’import, ma la scelta spettava ai singoli Stati. Altre sanzioni riducevano gli aiuti internazionali di cui l’Iran poteva beneficiare. Inutile sottolineare che le misure non sortiscono alcun effetto. Il governo di Ahmadinejad  annuncia ufficialmente di aver installato 6000 centrifughe per la produzione di uranio arricchito a Natanz; nel 2009 entra in funzione a Isfahan un altro impianto. Quello che succede negli anni successivi è cronaca: alcuni scienziati nucleari iraniani vengono assassinati, sembra con un coinvolgimento del Mossad, i servizi segreti israeliani; un attacco informatico danneggia molti computer del programma nucleare, provocando una consistente perdita di dati. Anche qui è sussurrata la responsabilità di Israele, che più recentemente minaccia, anche se non in maniera aperta, un attacco preventivo, con il fine di distruggere le strutture nucleari iraniane. 

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Barack Obama si è rivolto all’assemblea ONU del 25 settembre 2012, esprimendo una posizione abbastanza chiara. Gli Stati Uniti faranno “what we must” per impedire che l’Iran si doti di armi nucleari. "A nuclear-armed Iran is not a challenge that can be contained, it would threaten the elimination of Israel, the security of Gulf nations and the stability of the global economy". Se più o meno tutti i membri della comunità internazionale sono d’accordo a bloccare la presunta minaccia, pochi sembrano disposti a spingersi al di là delle sanzioni. In Iran la popolazione supporta il programma nucleare. Il tema comune è che, se tanti Stati nel mondo hanno un arsenale atomico, compresi India e Pakistan, perché non dovrebbe possederlo il loro Paese? La guerra fredda è durata più di quarant’anni, e nessuno ha mai premuto il pulsante rosso che avrebbe potuto portare alla distruzione dell’umanità: se non l’hanno fatto i fanatici comunisti, perché dovrebbero farlo gli estremisti ayatollah? Alireza Forghani, stratega di Khamenei, scrive sul suo blog (4 febbraio 2012): 

Iran is one of the countries that continued to be threatened by USA. […] The Islamic world should rise up and shout that "a nuclear bomb is our right to wake America and Israel up! Yes, having a nuclear weapon is a right. Right that if did not exist, Israel was destroyed forever thirty years ago and America had not right to flaunt in Iraq and Afghanistan. In order to prevent America to do whatever it wants, we should have the nuclear weapon.” 

Forghani specifica che la linea politica non è ufficiale, ma la strategia è chiara: l’Iran si vuole servire della bomba atomica per acquisire un diverso peso specifico nelle relazioni geopolitiche mediorientali, ed è consapevole che usarla porterebbe alla sua immediata distruzione.


Gli Stati Uniti predicano stabilità. La situazione attuale non causa problemi a Israele, che può continuare le sue angherie nei confronti della Palestina e a chiudere un occhio sulla questione dei insediamenti in Cisgiordania. Una, una sola arma di distruzione di massa nelle mani dell’Iran cambierebbe questo scenario. Se devo esprimere un primo parere, concordo con Forghani. Dare all’Iran potere diplomatico potrebbe riequilibrare molte situazioni. Ci sono però molti elementi da considerare. Il primo è che anche l’Arabia Saudita, sunnita e alleata degli USA, vorrebbe la bomba, e questo scatenerebbe una nuova corsa agli armamenti. Il secondo è il rischio che piccoli gruppi di fanatici più estremisti del governo se ne possa impossessare, in particolare in caso di implosione del regime. Il terzo è proprio legato alle dinamiche interne: rinforzerebbe la dittatura, che comunque ultimamente non se la sta passando tanto male (la sensazione tra i giovani è di pessimismo, rinuncia e fuga all’estero). L’obiettivo dovrebbe essere quello di bloccare la proliferazione nucleare. L’utopia è che tutti gli Stati, Israele compreso, rinuncino al loro arsenale atomico. Non succederà. Quello che avverrà presto, invece, magari dopo le elezioni americane, sarà un attacco congiunto Israele-Usa alle installazioni nucleari iraniane, in piena violazione del diritto internazionale: ma tanto chi aprirà bocca? Toccherebbe, e fin da subito, alle opinioni pubbliche europee: se c’è una cosa di cui sono sicuro è che quella della violenza non è la via per risolvere il problema. Anche perché rinforzerebbe ancora di più il regime, e riaccenderebbe la fiamma del conflitto di civiltà.

Marco Pangallo

 





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