Inserto economico di 
 

L'ultima carta di Beijing

Avete mai giocato a Risiko? Io sì. Sul noto gioco da tavola che svela gli istinti coloniali di ognuno di noi le isole Senkaku non ci sono, anche perché le pedine ( i carri armati ) non ci starebbero. Facciamo luce sul mistero, perché è comprensibile che ci siano persone occupate  a fare ben altro che controllare la cronistoria delle isole Senkaku. Si tratta di un piccolo arcipelago situato nel Pacifico, più precisamente nel Mar Cinese orientale. Quindi a sud del Giappone e a est della Cina. Isole controllate dal Giappone e rivendicate dalla Cina, la cui ultima mossa di alta strategia militare consiste nel pomposo invio di ben mille pescherecci a presidiare le isole disabitate. Dal canto loro i nipponici rivendicano da mesi la giurisdizione in nome dell’orgoglio del Sol Levante, celebre convitato di queste occasioni. Potremmo dire che il Giappone le possiede da sempre, che ci ha fatto poco o niente, sopra o intorno, e che pertanto potrebbe docilmente concederle ai turbolenti vicini, ma parleremmo a vuoto. In primo luogo perché i vicini non hanno mai preso in considerazione di chiederle gentilmente, ma se ne sono appropriati convinti di essere investiti di un diritto di proprietà quasi divino, secondariamente perché nonostante tutto non si tratta di sassolini in mezzo al mare, ma di pezzi di terra di grande valore geopolitico; da ultimo è assai improbabile trovare anche un solo giapponese disposto a concedere anche un solo chicco di riso ad un cinese. L’astio tra le due potenze asiatiche è antico, in epoca moderna risale alla Seconda Guerra Mondiale, quando l’invasione giapponese della Manciuria portò le devastazioni del conflitto nelle case cinesi, e vi lasciò l’amara angoscia del teatro di guerra. E l’antipatia per l’invasore non si perdona mai, in Europa lo sappiamo bene. Per questo motivo quando si parla di Cina e Giappone si parla di intolleranza tra popoli, non paragonabile alle simpatiche schermaglie tra italiani e francesi, non riferibile all’incompatibilità tra greci e turchi. La storia è più vecchia, in gioco c’è il dominio di un continente, su cui il glorioso impero del Sol Levante ha dominato per quasi un secolo , e sul quale ora perde colpi come un vecchio samurai che non si arrende alle forze giovani. 



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Questo è il momento della Cina, il momento di una nazione in crisi di identità, mai come ora. La crisi economica lambisce la Repubblica Popolare anche se di striscio, la sua marcia verso il progresso rallenta impercettibilmente. Il problema a Pechino è anche politico. La vecchia guardia terminerà la sua era fra qualche mese, i patriarchi del Partito Comunista sono sempre di meno. Con la fine del mandato di Hu Jintao, la nazione di Mao sbiadisce nella memoria come la foto del Grande Timoniere su piazza Tien An Men. L’avvento del nuovo Presidente Xi Jinping porterà una rivoluzione in ogni ambito del potere, in ogni provincia del Paese, e questi cambiamenti dopo gli ultimi sconvolgimenti interni saranno totali. La Cina è in ‘campagna elettorale’ , e in questi casi il vento di guerra funziona sempre, accende gli animi, porta la gente in piazza, fa issare le bandiere. Quale occasione migliore di una contesa che dura già da qualche tempo, contro un nemico vecchio e stanco, come è la nazione giapponese. Quella tra Pechino e Tokyo è una guerra di nervi. Le dispute sul Pacifico interessano anche  Washington che infatti cerca di fare da paciere, anche se non è difficile capire in caso di conflitto da che parte si schiererebbe. Il Trattato di mutua alleanza tra Giappone e Stati Uniti implica che questi ultimi siano pronti a soccorrere il Giappone in caso di attacco di un paese straniero, questo prima o poi potrebbe essere il caso. Se Obama passerà, avrà anche questa ‘Pacifica’ grana.


Marco Polo racconta che alla corte di Kubilai Khan c’era un vecchio cieco, che veniva da una grande isola, non molto lontana dalle coste cinesi, dove si facevano spade formidabili, tanto da tagliare una foglia in due nel vento. Il vecchio gli raccontò che il Gran Khan possedeva l’intera Asia, ma tuttavia non era contento. Subì una sola grande sconfitta nella sua vita: tentarono di conquistare quell’isola, che avevano sentito afflitta da secoli di guerre civili. Ma quel paese ad ogni minaccia di invasione straniera era capace di riappacificarsi, di prendere le armi insieme, uniti nella lotta per la salvezza comune. Così  le truppe di Kubilai Khan vennero rispedite a casa.

I cinesi non l’hanno mai mandata giù.


Luca Orfanò




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