Inserto economico di 
 

Giù dalla cattedra

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Quello che è accaduto due giorni fa è il paradosso del nostro Bel Paese, la cartina di tornasole, il negativo di tutte le nostre eccellenze, e di tutti i nostri errori. Non è  il movimento di protesta che ha coinvolto studenti e lavoratori in ogni parte d’Italia e d’Europa, sacrosanto. Non è il dibattito pietoso dei partiti sulla legge elettorale e il tragicomico spettacolo del “ si salvi chi può”. Il fatto del giorno è avvenuto in due università del paese, una a Roma, l’altra a Milano. La prima pubblica, la seconda privata. E’ l’università il luogo da cui questa avventura è partita, il forno da cui caldi caldi sono usciti i ministri del Governo “tecnico”, che, spiace dirlo, negli atenei hanno lasciato l’umiltà per andare nei dicasteri a comandare, non più ad insegnare. Ci sono andati senza ascoltare.

Mentre alla Sapienza, università di Roma, si svolgevano collettivi e incontri per raccontare e testimoniare la crisi che dilania il paese, da dentro, da vicino, per condividere lo stupore verso uno Stato che non sente le proteste, che non ascolta, come i suoi ministri; a Milano, Università Bocconi, si apriva l’anno accademico, ospiti d’onore: Mario Monti e Mario Draghi.

Una platea plaudente quella dei bocconiani, dissidente quella romana. Due facce dello stesso paese, dei più esposti al rischio del futuro, e dei più protetti. Da una parte si parlava di Europa, dall’altra di tasse, di mutui e di lavoro. Siamo fermamente convinti che ci fosse molta più Europa nei discorsi di questi ultimi, che in quelli dei primi. Non perché gli altri fossero studenti di un’università privata, non perché avessero forse famiglie facoltose alle spalle, ma perché si punta all’Europa solo guardando in faccia la realtà, solo considerando i problemi di ogni giorno. L’Europa è una costruzione che passa alla vita reale, non si può più fare sui libri, deve uscire dalle aule, deve entrare nelle menti e nei cuori della gente. Non va più accusato di antieuropeismo chi critica le politiche del governo. Perché i giovani che erano in piazza l’Europa la vogliono, la cercano, ma pretendono di poterci vivere e lavorare dignitosamente, altrimenti non è più un progetto, un sogno, ma un mito non incarnabile in niente, non riferibile a nulla. I giovani l’Europa la vogliono perché hanno protestato in 23 paesi su 27, perché hanno individuato il problema: la scarsa unità e la mancanza di lavoro. Avremmo gradito dal Presidente Monti una parola sulle migliaia di giovani scesi in piazza mercoledì, un cenno di considerazione, che siamo sicuri lui abbia, ma non lo esprime. Soprattutto perché lui è arrivato per noi, per salvare il paese che rimarrà a noi, non ad altri. In questo senso vanno alcune delle sue politiche, come la riforma delle pensioni, ma altre purtroppo no. Molte misure sono andate a discapito di parecchie fasce della popolazione, politiche miopi, che non hanno realizzato il disagio sociale e pretendono di insegnare ad un cinquantacinquenne minatore i motivi per il quale lui deve ancora lavorare, o peggio stare a casa, ma non ricevere la pensione, in forza di un preciso modello economico. Monti non è più un professore, ma un politico, da lui per il tempo che rimane ci aspettiamo mosse politiche. Non ci si può più nascondere dietro la competenza tecnica, bisogna che il Presidente affronti la pragmatica realtà, legalmente e formalmente risponde al Parlamento, ma la sua coscienza risponde al Paese oltre che a se stesso. 


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Mario Draghi un anno fa quella parola per i giovani ce l’ha avuta, e ogni giovane di buon senso è in grado di capire che quello che ha fatto per l’Europa è stato vitale. Nel suo discorso alla Bocconi ha citato Tommaso Padoa Schioppa, stratega dell’euro. Quest’ultimo paragonò l’Emu ( Economics monetary union), ad un uccello australiano con lo stesso nome, simile ad uno struzzo, che non cammina mai all’indietro. Siamo d’accordo, andiamo avanti, l’euro è un processo irreversibile. Ma non deve essere solo l’Emu il paletto irremovibile dell’Europa che vogliamo. Bisogna piantare altri pilastri. Non basta più l’unione economica, l’Europa da cui non si deve tornare più indietro deve essere quella sociale di Altiero Spinelli, quella in pace di De Gasperi e Monnet. Non c’è Europa nel disagio sociale che viaggia dalla Spagna all’Italia. Non c’è Europa in Grecia dove i bambini muoiono di malnutrizione. Non c’è Europa dove c’è nazismo. E questo rimane, quasi impossibile da sradicare, risorto in Ungheria e in Grecia. Queste sono questioni politiche, risolvibili solo da un’Europa politica. In Italia ad aprile si vota anche per questo, per più o meno Europa, e a decidere saremo tutti noi, che non si dica che il destino è qualcosa di immutabile.


Luca Orfanò




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