Inserto economico di 
 

Avanti un altro

“Al Lingotto  tira una brutta aria”,  niente di più falso.  I dati disastrosi sulla vendita delle auto in Europa li conosciamo ( secondo l’associazione costruttori la media dei paesi Ue è di -10, -12% ) , quelli ancor più tragici della Fiat sono arcinoti, -18,2% . Marchionne di questi numeri fa il suo cavallo di battaglia, potremmo quasi chiamarla la sua scusante militante. La tempesta però tocca tutti, anche se in modo considerevolmente minore, si va dal -4 % della Germania al -11 % della Francia, passando per uno stabile +0,1 % del Regno Unito. Le auto nel Vecchio Continente si vendono meno che nelle altre parti del mondo, ma si vendono. Questi riportati sono dati rilevati su vendite dell’estate appena trascorsa, guardano al mercato dell’auto nel complesso. Analizzando invece in modo più particolare le singole aziende, ci si accorge che le vetture vengono acquistate, persino la Fiat in certi settori guadagna terreno, e vede confermare la Panda e la 500 come le vetture più vendute del segmento A.  Ciononostante il problema rimane. In Italia si vendono poche auto, l’unica vettura della casa del Lingotto prodotta nella penisola è la Panda, a Pomigliano. Nel resto degli stabilimenti , da Mirafiori a Melfi, passando per Cassino, ad impegnare gli operai nelle poche ore rimaste di lavoro sono pezzi di auto, come per esempio Jeep a Torino, ma non esiste una linea completa. La mancanza di modelli è avvertita dai lavoratori in cassa integrazione, che vedono il futuro della fabbrica evaporare sempre più a ovest. Fiat è un’azienda che non punta su modelli da costruire in Italia, non scommette sull’innovazione, sulla competitività e su auto di nuova generazione, è tremendamente difficile nella crisi in cui ci troviamo, ma un manager questo deve fare, nient’altro. Questi i problemi dell’azienda al di qua dell’Atlantico, poi ci sono quelli del Paese. Tra questi ultimi rientrano i creduloni, quelli che sognavano Fabbrica Italia, i sindacati servili che hanno firmato un accordo  che non era tale, ottenendo così la produzione di un singolo modello, in una sola fabbrica, e sentendosi dire che quell’accordo sarebbe stato esteso agli altri stabilimenti, in modo assai poco democratico, per poi vedere che l’accordo, sempre lui, non era la panacea di tutti i mali, e che dopo tanto furore per una firma gli operai rimanevano a casa, perché non c’erano macchine da fare. A questi creduloni si aggiunge il governo precedente, l’incompetenza industriale fatta persona,  l’establishment della città di Torino, schierata senza se e senza ma dalla parte più grigia, quella senza diritti e senza progetti industriali, Fabbrica Italia.

E non è colpa di Marchionne se gli operai ora stanno a casa, o quantomeno lui è il responsabile minore, ad essere colpevole è la classe politica italiana, nazionale e locale, che ha permesso tutto ciò, nessun altro. Non solo Marchionne quindi, questo deve essere chiaro
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Il C.E.O. Fiat l’ha chiarito una volta per tutte sabato pomeriggio, a Palazzo Chigi, durante l’incontro col Presidente Monti: il Lingotto non ha soldi da investire in Italia al momento, non può permetterselo. Grazie lo stesso, aggiungiamo noi.

La questione è semplice. Fiat in Brasile, Serbia e Stati Uniti principalmente, va bene. E’ ben inserita nel mercato e gli utili che lì ottiene servono a sostentare quel poco che in Italia rimane da produrre. Marchionne ha successo laggiù perché questi paesi forniscono aiuti di Stato, che finanziano per esempio gli stabilimenti. Tali misure in Italia non sono più possibili, l’Unione Europea vieta gli aiuti di Stato alle aziende, menomale. Non è neanche più nel potere del Governo italiano porre dazi ai confini, quindi è impossibile un “protezionismo” a tutela delle auto Fiat, menomale. A decidere l’istituzione di dazi doganali è solo l’Unione Europea per i suoi confini esterni, menomale.

Quindi il Governo dal punto di vista del rilancio dell’azienda può fare ben poco, anzi nulla. Fiat in Italia fa quel che ritiene conveniente, chi grida ad una coscienza del Lingotto, secondo cui deve all’Italia molto e per questo dovrebbe restare con stabilimenti inefficienti, vuoti e senza operai, dà fiato ai polmoni. Non è colpa di Fiat che ha ricevuto finanziamenti pubblici a bizzeffe, è lo Stato che glieli ha dati.  La politica tuttavia ha altri campi d’azione. In Europa esiste il libero mercato, e non c’è solo la Fiat nel mondo. Basterebbe aprire gli stabilimenti italiani ad altre case automobilistiche, dalla tedesca Volkswagen alle coreane, che già hanno manifestato interesse. E’ questa la nuova sfida, fare auto, non importa con chi. Ciò che è importante è che gli operai tornino a lavorare, chissenefrega se fanno la 500 o la Daihatsu Terios . 


Luca Orfanò




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