Inserto economico di 
 

Bravo Mario, bravo Ben

Anche se Draghi sostiene che “c’è ancora qualcuno da convincere in Germania “, è stato compiuto un importante passo in avanti nel processo di risoluzione della crisi. Il 12 settembre, mentre il mondo guardava a Bengasi, la maggior parte delle cancellerie europee attendeva ansiosamente notizie da Karlsruhe, cittadina della Germania meridionale, nota poichè sede della Corte Costituzionale tedesca. Il sì della corte al Fondo Salva-Stati è arrivato, anche se condizionato, con grande piacere di Draghi, della Merkel e di tutti i cittadini europei dotati di buonsenso. Si tratta di un sì condizionato poiché la Corte di Karlsruhe ha posto il limite di 190 miliardi, come contributo massimo che la Germania potrà dare al Fondo Salva-Stati, senza l’intervento del Parlamento tedesco. E’ anche per questo che da Berlino la notizia è stata accolta con sollievo, in un anno di campagna elettorale sarebbe arduo presentarsi ogni volta alle Camere per chiedere soldi da destinare ai paesi deboli della zona euro.

Il Mes ( meccanismo europeo di stabilità), o Fondo Salva-Stati, è solo l’ultima di numerose misure che Mario Draghi e il suo staff hanno intrapreso dallo scorso novembre. Si tratta di un fondo al quale ciascun paese della zona euro contribuisce in modo differente, l’Italia ( 17% ) è il terzo contribuente dopo Germania e Francia.  La Bce disporrà di questo fondo e deciderà a quali paesi e in che misura destinare gli aiuti, di cui potrebbe aver bisogno anche l’Italia.  Le condizioni per ricevere questi aiuti sono assai diverse da quelle che caratterizzavano i prestiti della Trojka ( Bce, Fmi, Commissione Ue). Ciò significa che per fortuna non assisteremo più al pietoso spettacolo del Fondo monetario in cattedra e della Grecia dietro la lavagna. Questa è la risposta di Mario Draghi alla speculazione, l’obiettivo dell’Esm è, anche se indirettamente, porre un tetto agli spread, evitare quindi agli stati, come Italia e Spagna, di pagare tassi di interesse sul debito elevati in modo spropositato. Abbattere quindi costi che inevitabilmente ricadono sui cittadini, attraverso aumenti delle imposte o tagli della spesa pubblica. E’ quindi la risposta a chi punta a dividere l’Unione, partendo dallo spread e finendo chissà dove.  Lo Esm nasce da una Banca Centrale che di centrale ha poco. Una Banca che non può limitare le decisioni al suo board, nonostante l’indipendenza riconosciutale costituzionalmente, ma che ha a che fare con interessi di parte, difesi strenuamente da opposizioni minoritarie, ma tuttavia con grande peso all’interno dell’Eurotower, una fra tutte, la Bundesbank e il suo governatore Weidmann. Tuttavia un voto democratico ha sancito la nascita del Fondo Salva-Stati, con buona pace di alcuni ottusi.

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Esiste invece una Banca Centrale indipendente oltreoceano, che decide autonomamente e senza condizionamenti esterni come agire nella politica monetaria del suo Paese. Questa banca è la Federal Reserve, e il suo governatore, Ben Bernanke, ha le mani molto più libere di Mario Draghi. La Banca Centrale Europea ha come unico obiettivo il controllo della stabilità dei prezzi, al quale adempie con una politica monetaria molto ‘tirata’, con in testa il mantra dell’inflazione; il mandato della Fed è invece molto più ampio, senza briglie. Uno dei suoi compiti principali è il sostegno dell’economia, della ripresa, quindi della crescita. Mentre a Francoforte guardano quindi all’inflazione, e solo a quella, a Washington pensano all’occupazione. Un tema, quest’ultimo, che da noi sembra scomparire nel mare di paroloni come fiscal compact. In America, oggi come quattro anni fa, la parola che incombe come un martello pneumatico nelle teste di tutti, dall’operaio disoccupato al banchiere centrale è job. La Fed punta a creare posti di lavoro, lo fa intervenendo direttamente nell’economia del Paese. Lo fa nel modo più semplice e ovvio, iniettando miliardi nel circuito economico a stelle e strisce. L’operazione ha un nome, quantitative easing. Si tratta dell’acquisto in maniera massiccia da parte della Banca di titoli di vario genere. Non solo titoli di stato, ma anche particolari bond ai quali sono legati gli andamenti dei tassi di interesse per i mutui delle case, tecnicamente detti mortgages bonds. E abbiamo imparato a capire che se questi bond vengono acquistati in grande quantità, quindi ne aumenta la domanda, gli interessi scendono. Traduzione: i mutui costano meno. E questa è solo una delle innumerevoli operazioni della Fed. Gli Stati Uniti si tormentano per una crescita del 2% circa, considerano insufficienti cifre che l’Europa intera si sogna di notte, e anche di giorno. 

Bernanke quindi allinea la politica della Fed a quella dell’amministrazione Obama, che da questo punto di vista si avvantaggia. D’altro canto, se il banchiere centrale è dovuto venire in soccorso del Presidente, significa che le misure intraprese da quest’ultimo forse non hanno funzionato come dovevano. Anche in questa vicenda quindi, come in quella mediorientale, Barack Obama dovrà giocare bene le sue carte, le ultime, o quasi.

Luca Orfanò





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