Inserto economico di 
 

Don't look back, Barack

Manca poco più di una settimana ad uno dei due eventi politici che segneranno marcatamente i nuovi equilibri di potere, le elezioni presidenziali americane del 6 novembre ( l’altro evento è il passaggio di potere in Cina, ma è meno interessante perché si conosce il successore, quindi manca l’effetto sorpresa). Barack Obama ha girato 8 stati in 48 ore. Chicago, la sua Chicago, è in fermento  da settimane, tutti dediti ai preparativi di una festa che nessuno è certo di poter celebrare, Barry, come lo chiamavano ad Harvard,  in primis. Obama l’oratore, il Presidente di tutti gli americani, ha faticato a svegliarsi. Ha reagito tardivamente agli attacchi di Mitt Romney, e menomale che quest’ultimo non è poi tanto brillante, altrimenti ora ci staremmo chiedendo come limitare i danni. In tre settimane hanno avuto luogo tre dibattiti televisivi tra i due candidati. Nel primo Obama dormiva, l’hanno visto tutti, a testa bassa incassava gli attacchi di Romney. Nel secondo incontro tv, il Presidente che il mondo ha imparato a conoscere è uscito dal letargo, stravincendo. Il terzo duello davanti ai teleschermi è stata una mezza vittoria, che è diverso dal dire una mezza sconfitta. I sondaggi danno i due candidati pressoché in parità, ma Obama  stacca il repubblicano di qualche punto negli stati chiave come Ohio e Florida, alla fine sarà in questi ultimi che si deciderà se ci sarà il quarantacinquesimo presidente usa, oppure no.


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Barack Obama è stato un Presidente straordinario. Il suo essere fuori dal comune ha condizionato notevolmente le sue scelte, ha creato ambienti ostili al suo operato prima ancora che iniziasse a governare e al tempo stesso ha deluso molte aspettative della sinistra democratica americana, pur facendo quello che nessuno prima di lui era stato in grado di portare a termine. E’ arrivato alla Casa Bianca spinto dal vento della novità, da un modesto consenso popolare ( 51 a 48 non è mai una vittoria bulgara) e soprattutto dalle grandi banche d’affari americane. Goldman Sachs, la regina delle investment banks , staccò nel 2008 per il giovane senatore di Chicago un assegno da un milione di dollari. Quest’anno la generosità è calata di brutto, 136.000 dollari, briciole che si sommano ai 650.000 verdoni ottenuti da Citigroup e JP Morgan . Da queste ultime due Obama nel 2008 incassò tre milioni e mezzo di dollari.  In compenso la finanza di Wall Street ha riempito le tasche già colme di Romney dandogli tanto di quel denaro da poter fare campagna elettorale anche sulla luna. Lloyd Blankfein, c.e.o. di Goldman Sachs, l’uomo che ha modestamente dichiarato di “fare il mestiere di Dio”, e altri suoi colleghi non hanno digerito uno dei primi provvedimenti dell’amministrazione Obama. Il Dodd Frank Act ha rotto le uova nel paniere, tale legge tra i vari limiti imposti alla finanza vieta alle banche investimenti speculativi con mezzi propri, operazione che alla banca di Blankfein fruttava il 10 % degli  utili. Poi c’è stata la riforma sanitaria, una lotta senza quartiere quella condotta dall’inquilino della Casa Bianca, su quel provvedimento si giocava la faccia. Dopo un estenuante gioco al ribasso la Health Care Reform passò e quest’anno è stata riconosciuta come legge dalla Corte Suprema. Nessuno prima di lui era riuscito a far approvare un provvedimento simile, quindi per quanto sia poco sufficiente a tutelare chi ne ha diritto, almeno qualcuno ne guadagnerà. Obama ha poi varato un vigoroso piano di investimenti, un aumento della spesa pubblica dell’ammontare di 800 miliardi di dollari, finanziando istruzione, sanità e infrastrutture. E’ stato il suo piano per l’economia nazionale, l’unica manovra di politica espansiva in una congiuntura di crisi economica così grave. Schiere di economisti glielo sconsigliarono, lui è andato avanti per la sua strada. I dati, anche se magri, gli danno ragione, una crescita prevista del 2% e una disoccupazione elevata sì, ma in calo. In politica estera le aspettative erano maggiori, non solo da parte del suo paese, ma del mondo intero. L’Europa e il Medio Oriente guardavano ad Obama come una speranza di rinnovamento, di forte scossa , di cambiamento politico. Lui ha risposto nell’estate del 2009, pronunciando al Cairo un discorso storico, separando l’Islam da Al Qaeda, facendo capire da che parte stava lui, e da quale si aspettava che i musulmani si schierassero. Per quel discorso vinse il Nobel per la Pace. Molte aspettative sono state deluse, Guantanamo è ancora una prigione funzionante a pieno ritmo, migliaia di americani in guerra in Afghanistan, ma non in Iraq. A contrastare queste “ delusioni” c’è la cattura di Bin Laden, avvenuta nel maggio 2011. Si può dire che Bin Laden non fosse più un pericolo, che i problemi erano altri. Ma intanto lui lo ha fatto catturare, e per farlo si è giocato tutto in una missione che è stato un successo ma avrebbe potuto rappresentare un tragedia, per i militari che la intrapresero, e un suicidio politico per lui. 


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Barack Obama è quest’uomo , un politico nato, che cerca di ottenere quanto è in suo potere per attuare le sue  idee. Conquistare volta per volta in Parlamento e in qualunque altro luogo piccoli successi, facendone tesoro. Un mattone alla volta fino ad una casa vera e propria. Trattare, scendere a compromessi, rinunciare a qualcosa per ottenere qualcos’altro. E’ la politica dello step by step, è la sua politica.  Nessuno ha fatto come lui in quel paese perché nessuno ne è stato capace . Non si costruisce negli Stati Uniti un Welfare State dall’oggi al domani, si fa a piccoli passi, anche scendendo a patti. E’ questo che i delusi dal giovane senatore di Chicago dovrebbero capire. E’ finito in mezzo agli squali, ma ha salvato la pelle. Ha sostenuto l’economia, ha portato a casa una riforma, quella sanitaria, storica. E’ diventato il Presidente degli Stati Uniti, non poteva ritirare truppe militari subito da mezzo mondo, ma i militari dall’Iraq li ha portati a casa. Voleva chiuderla Guantanamo, eccome se voleva, ma la C.i.a. glielo ha impedito. Obama era ed è un pacifista. Lui si oppose alla guerra in Iraq, molti altri no, tra cui Hillary Clinton. Votare Obama vuol dire credere di poter cambiare qualcosa un po’ alla volta, significa fidarsi del futuro, osare. Tutto e subito lo dicono solo i bimbi, e molto spesso non si realizza neanche per loro. L’audacia della speranza non è una frase campata in aria, è una filosofia, uno stile di vita, oltre che un preciso piano politico, il suo.


Luca Orfanò




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