Inserto economico di 
 

La finale si gioca a Bruxelles

In questo lungo giugno i leader europei si accingono a disegnare il destino dell’Europa e dell’euro. La prima è un sogno antico, nato tra grandi uomini, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il secondo è un traguardo parziale, sostenuto da persone di buon senso, osteggiato da uomini e donne altrettanto ottusi. Le tappe sono molte e ravvicinate in questo mese di inizio estate, e l’Europa non andrà in vacanza, è impegnata a sopravvivere. Il 17 giugno, fra nove giorni, avranno luogo le elezioni greche. Si spera siano definitive, i sondaggi variano di giorno in giorno, registrando complessivamente una risalita dei partiti tradizionali, favorevoli agli accordi sacrificali già stipulati con l’Unione. Confidiamo nella lungimiranza dei greci, nella loro manifesta volontà a rimanere nell’Unione e a detenere euro nelle proprie tasche. I due giorni successivi, 18 e 19 giugno, ci sarà il G20 in casa messicana. Sarà l’ultimo incontro diretto tra Obama, Monti, Hollande e Merkel. Sarà l’occasione in cui i primi tre insisteranno di nuovo e ulteriormente per un cambio di rotta nelle politiche europee. Il 22 giugno a Roma, Mario Monti ospiterà il Presidente francese e la Cancelliera tedesca in un pre-vertice, potremmo quasi dire per coordinare le idee, in vista del fondamentale appuntamento di fine giugno. Roma è propizia per i vertici europei, proprio nella Capitale cinquantacinque anni fa venne firmato il Trattato di Roma, pietra miliare della futura Unione Europea, ci sono rimaste solo più le coincidenze ormai…

La maratona di giugno si concluderà il 28, a Bruxelles, nel Consiglio Europeo. Sarà la partita decisiva, e verrà vista in mondovisione. A fine giugno molto probabilmente  sarà deciso il destino della Grecia e della moneta unica. Potrà essere sembrato un problema del Vecchio Continente questa crisi, fino ad ora, ma non è più così. I contraccolpi per la fiacchezza europea al di là dell’Atlantico si avvertono e non sono lievi. E anche in Brasile, in Cina, India e Sud Africa. Sta diventando un problema mondiale. Ciò non è dovuto alla superiorità mistica della razza bianca, sulla quale per secoli abbiamo fondato il nostro pensiero insano, ma bensì all’unicità dell’Unione, la quale rappresenta il più grande mercato unico del mondo, senza barriere commerciali. Una florida opportunità di commercio e investimento per i Brics e le altre economie emergenti. Il problema è che questo mercato vive la crisi più grande dalla sua nascita, soffre per la mancanza di liquidità. E se un paese emergente  perde il principale mercato dove negoziare i suoi prodotti, o li vende agli indigeni, o se li compra da solo, entrambe le alternative sono ben poco redditizie. Le difficoltà sono ancora maggiori per paesi, come gli Stati Uniti, che su quel mercato puntano una grossa percentuale delle loro esportazioni, figuriamoci la Cina, la quale rallenta la sua crescita, che è pur sempre apocalittica, ma non più a due cifre. Assistiamo in questi giorni alle bacchettate rifilateci dall’amministrazione Obama, più che mai in apprensione per il futuro dell’Unione, oramai indissolubilmente legato all’avvenire del Presidente americano. E gli scolari europei, queste sgridate, per quanto umilianti esse possano essere, se le devono prendere. Le dobbiamo accettare. Lo facciamo perché anche di fronte all’evidenza qualcuno ancora si ostina a proporre soluzioni sbagliate, già sperimentate, e disastrose. Come ha magistralmente spiegato Paul Krugman in uno dei suoi oramai quotidiani editoriali dal New York Times a Repubblica, le ricette teutoniche non funzionano più. Due paesi hanno seguito alla lettera le direttive di Angela Merkel & staff per risanare i propri conti: Irlanda e Portogallo. Stanno peggio di prima. E’ qualcosa di talmente elementare la crisi europea che sarebbe sembrata quasi troppo facile da risolvere, se si fosse messo da parte l’orgoglio nazionale, anteponendovi il buon senso di cui molti non sono privi.
Ciò che il mondo si augura per il 28 giugno, è che dai palazzi di Bruxelles esca un chiaro piano di crescita. E un piano finalizzato alla crescita si fa spendendo. In Europa si deve spendere, c’è bisogno che il denaro ricominci a girare, perché di euro se ne parla sempre molto, ma se ne vedono sempre di meno. E’ una crisi di liquidità questa che attanaglia in primis il nostro continente. La Banca Centrale fa quel che può, non taglia i tassi di interesse perché il suo statuto impone un rigido controllo sull’inflazione, un pallino dei tedeschi da sempre. Draghi ha proposto un’unione bancaria europea in modo da unificare problema e soluzione, appena insediato tagliò i tassi di interesse alla minima e storica quota dell’1%, le risorse sono finite, d’altronde si chiama Mario Draghi, mica San Pietro. Tassi di interesse bassi significano un costo del denaro più basso, ma il denaro manca. Da Bruxelles si attendono piani di investimento che prevedano finanziamenti corposi: soldi alle imprese. Piani di industrializzazione per le zone in degrado dell’Europa, e subito. Cinquecento milioni di persone attendono fatti e non parole, è bene che i leader europei non li deludano. Ci sono buone basi, Monti e Hollande, sostenuti esternamente anche da Cameron, insisteranno fortemente su questo, e ne ricaveranno qualcosa. Obama si gioca la Casa Bianca in questi mesi, non è disposto certo a perderla per l’ottusità di una tedesca laureata in chimica. I leader europei seguano il consiglio del Presidente degli Stati Uniti, insistano, azzardino, minaccino, “mettano la Merkel spalle al muro”, purtroppo, aggiungo io, solo in senso figurato.


Luca Orfanò
ddd
7/1/2012 12:01:01 am

ma vai a zappare la terra

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