Inserto economico di 
 

Monti e "l'ebbrezza della flessibilità" secondo Luca Orfanò

“ Il posto fisso è monotono “, forse non era così formulata, ma il concetto è senz’altro chiaro. Quello che è altrettanto chiaro è che questa è una frase estrapolata da un discorso, che purtroppo per Matrix, non hanno seguito tutti gli italiani.  Dire che al giorno d’oggi, ma anche da sempre, il posto fisso è un valore per gli italiani è vero, sostenere che garantisce sicurezza, la costruzione di un futuro, l’autosufficienza da uno Stato che è tanto apparato-burocrazia e poco Welfare, è vero. Ma è anche scontato, nessuno vuole abolire il posto fisso, possiamo stare tranquilli. A mio modesto parere quella del Presidente Monti è stata una provocazione. Certo l’intento non era quello di suscitare polemiche ed aizzare un esercito di pseudo paladini di una giustizia sociale che non c’è, mentre il posto fisso è lì, almeno quello statale. Mario Monti voleva iniziare una riflessione, il suo era un invito a soffermarsi su un mondo che cambia, una realtà del lavoro che muta in modo indecifrabile, tuttavia i suoi cambiamenti sono determinanti, perché riguardano la vita delle persone. Il premier ha tentato di stuzzicare l’opinione pubblica con una delle sue riflessioni verbali, spesso ben celate, forse non stavolta. Tuttavia è bene che sia così, che il nostro Paese e noi tutti ci svegliamo, che capiamo che niente ci è dovuto, i diritti, anche quelli si conquistano, e anche il posto di lavoro.  Ben venga se qualcuno trova un buon lavoro, ben retribuito e a pochi passi da casa, noi tutti glielo auguriamo, ma queste condizioni non devono esserci necessariamente, bisogna essere pronti a trasferirsi, vivere talvolta dei disagi, per ottenere delle migliori condizioni. E’ necessario spendersi, mettersi in gioco, come si direbbe  in quest’era digitale, non basta più il “ mi piace “ su Facebook, bisogna darsi da fare. Il “ posto di lavoro vicino a mamma “ , come ha provocatoriamente sostenuto il Ministro Cancellieri, è un reale desiderio  della maggior parte degli italiani, perché negarlo?
 
Un’aspettativa che ognuno ha diritto a realizzare in modo legittimo, ma ciascuno di noi deve anche realizzare che non è sempre possibile. I bamboccioni esistono, è la verità, ed è legittimo anche dire che le tasse sono belle, come sostenne uno dei pochi statisti che il cielo ha donato all’Italia. Questo paese ha bisogno di essere scosso, spronato da un letargo troppo lungo, di cui si, siamo vittime e responsabili tutti. Qualcuno di voi, giustamente, potrebbe contestare il fatto che bisogna darsi da fare, rispettare le regole e comportarsi onestamente. Perché mai dovrei fare il fesso quando gli altri fanno i furbi? Questa domanda è un cancro del paese, ed è in metastasi. Il rispetto delle regole deve diventare, oltre che dovere, valore. Chi rispetta le regole, chi paga le tasse, fa cose buone, per lui e per tutti i cittadini. Bisogna capire, la gente onesta deve capire, che i “ furbi” non sono tali, agiscono contro l’interesse della collettività, sono criminali nella stessa misura di un ladro. Anzi forse di più, perché il ladro agisce in prima persona, invece per esempio, l’evasore è un vigliacco. L’Italia è il nostro paese, qui siamo nati e le leggi  vigenti sono sufficienti per garantire a tutti un luogo civile in cui vivere, con persone civili. Chi trasgredisce queste regole va contro tutti gli altri. In questo paese per troppo tempo si è pensato che chi andasse contro le leggi fosse uno capace, che sapeva quel che voleva. Invece no, chi è contro le regole è contro tutti quelli che le rispettano, è contro il benessere della società. Chi non paga le tasse non è furbo perché si intasca i soldi, è il ladro che ruba dalle tue tasche, è il criminale che non permette a tuo figlio di sedere in una scuola che stia in piedi, che non permette a tutti di godere di una efficiente assistenza sanitaria, che non consente di salire su un pullman dove ci sia qualcosa di più delle ruote e dell’autista. Questa digressione era per me necessaria, perché i problemi sono tanti, e in parte li creiamo noi con il nostro atteggiamento. Quindi il posto fisso è un valore, su questo non si discute. In certi paesi anche la flessibilità lo è diventato, non in Italia. Non si può pensare che qui la flessibilità nel lavoro sia qualcosa di sano. In questa Repubblica, che è fondata sul lavoro,  il concetto di  occupazione flessibile non esiste. Esiste invece solo quello di precarietà.

 La precarietà è una bestemmia sociale, che abbrevia le vite, riduce le possibilità di miglioramento, la precarietà, checché  se ne dica, non è  lavoro, o almeno non lo è nei termini in cui è inteso nella Costituzione. La precarietà è atroce non solo poiché rende non stabile un’occupazione, una vita, ma anche perché ammazza i sogni, che tutti noi abbiamo diritto di vivere. Due cose sono certe quindi, i posti fissi sono pochi e la flessibilità in Italia non esiste. Il Presidente Monti ha un modello, quello danese. In Danimarca la flessibilità è accompagnata da un forte Welfare. Si può  facilmente cambiare lavoro, non perderlo, ma questo rischio è protetto dallo Stato. Forti sussidi, che diminuiscono nel tempo, come è ovvio e giusto, una mirata spesa sociale e quindi un’assistenza garantita, questi sono i requisiti minimi di un buon modello di flessibilità  In Italia questo non esiste principalmente perché non c’è lavoro, e poi per la mancanza di un vero Welfare, quello italiano è solo assistenzialista, non è propositivo. In Gran Bretagna subito dopo essere andato a ritirare il sussidio di disoccupazione, siedi ad un tavolo con un personale che si occupa di collocamento. Il disoccupato riceve proposte di lavoro, ed è spinto ad accettarle. In Italia l’unico motivo per il quale si aspetta tanto alle poste per ricevere la disoccupazione è l’interminabile coda col numerino. Chi pensa che la flessibilità sia frutto di una politica liberista si sbaglia. Si potrebbe dire che non c’è niente più di sinistra. Il concetto di flessibilità, quella vera, non la precarietà italiana, è necessariamente accompagnata da un forte Stato sociale. Un’amministrazione pubblica che si prende cura dei suoi cittadini, non mantenendoli, ma tutelandoli, svolge un dovere civico e garantisce giustizia sociale. A mio parere la flessibilità è una delle possibili attuazioni del concetto di lavoro espresso nella Costituzione Italiana.

 Il lavoro come mezzo di progresso, come base sociale da cui tutti possono partire, l’unica arma a disposizione di una società non classista ma egualitaria.  Per tornare sulla frase del Premier, la mia opinione è che il suo pensiero sia totalmente diverso da come è stato interpretato. Monti intendeva dire con posto monotono, un’occupazione spenta, senza aspettative, senza ambizioni. Con monotonia voleva sottolineare la corta visione delle persone. Si può essere romani e lavorare a Torino, o a Londra. Bisogna farsene una ragione, anzi si dovrebbe auspicarlo. Quello del Presidente del Consiglio era un invito ad esplorare nuove possibilità, soprattutto per i precari, che non hanno nulla da perdere. Monotonia per lui è staticità anziché dinamicità, è pessimismo anziché ottimismo. Bisogna cominciare a parlare sempre più di Europa, e sempre meno di Italia, Francia o Germania, come orizzonte lavorativo. Quella che con estrema difficoltà si sta costruendo è una casa comune, unica al mondo, nonostante i suoi difetti. Un modo per tutelarla è anche sconfinare con la mente, pensare fuori dal comune. Monti invita i giovani alla speranza, ma la speranza motivata dalla forza di volontà. Questo è il tema che voleva suscitare, oramai il mondo è globalizzato, bisogna che ce ne facciamo una ragione, quello a cui dobbiamo ambire è porre regole a questa globalizzazione. Ho cercato di andare oltre la frase, perché bisogna sforzarsi di capire anche quello che forse fa comodo non intendere.

Luca Orfanò






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