Senza FIATo
Un manager umano, così era visto in Italia fino a non molto tempo fa, addirittura si espose Fausto Bertinotti definendolo il “ borghese buono”. Marchionne quindi di meriti ne ha diversi, questo è innegabile. Come però lo è il fatto che la Fiat vende poco, almeno da questa parte dell’Atlantico, che poi è quella che ci riguarda. Pochi mesi fa è stato chiuso l’impianto di Termini Imerese, mandando a casa gli operai che vi lavoravano. A Mirafiori non si producono auto da più di un anno. Gli scontri tra i sindacati ( Fiom in testa ) e il Gruppo Fiat sono stati ampiamente trattati dalla pubblica informazione, meno la condizione delle vittime di tali scontri, cioè gli operai cassintegrati e non. Tutti sappiamo degli avvenimenti susseguitisi in questi anni, gli scioperi, l’annuncio di Marchionne di lasciare l’Italia, e l’intervento di quel disastrato individuo dell’ex premier italiano, che lo incentivò non molto tempo fa. Nota è la storia dei tre operai di Melfi, licenziati in tronco dalla Fiat, reintegrati dal giudice, riassunti dalla Fiat, ma tenuti a casa: cioè vengono pagati ma gli è formalmente comunicato che possono starsene sul divano perché il loro lavoro allo stabilimento non serve. Dicesi Mobbing. Arcinoto è il referendum tenutosi a Mirafiori poco più di un anno fa, nel gennaio 2011. Anzi chiamarlo referendum potrebbe dare all’evento una parvenza democratica, di cui era privo, chiamiamolo quindi votazione forzata. In questa votazione l’amministratore delegato Marchionne chiedeva esplicitamente di esprimere un voto SI o NO, riguardo l’accettazione del modello di fabbrica, secondo lui efficientissimo, già accettato a Pomigliano. La curiosa clausola era che se avesse vinto il NO, lui avrebbe chiuso la fabbrica. Se non mi compri le figurine, io non vado a scuola, io dicevo così ai miei quando avevo 8 anni, vi sfido a trovare le differenze di comportamento. Rivangare il passato oramai non serve più, o almeno non serve a noi, la votazione ebbe luogo, e vinse, anche se di poco, il SI. Conclusione: Mirafiori è aperta: ma non ci lavora nessuno, non si fanno macchine. Tutto questo casino per niente. Dato che Mirafiori sembra, ahinoi, quasi passato, parliamo del futuro. Lo stabilimento di Pomigliano funziona quasi a pieno regime, è stata appena prodotta la Nuova Panda. Questo lo sanno tutti, pochi però sono a conoscenza degli operai che l’hanno prodotta. Vi chiederete: beh, che avrà da dire sugli operai? Su quelli che lavorano nulla, sugli altri qualcosa. Per la costruzione di questa vettura sono stati richiamati numerosi operai in cassa integrazione. Nessuno di questi è un tesserato Fiom.
Tra le svariate centinaia di tesserati Fiom che lavoravano a Pomigliano, nessuno vi è più impiegato. Una notizia gravissima, una mancanza di democrazia interna alla fabbrica di cui nessuno parla, riguardo a cui nessuno si indigna, la politica in primis. Ma non parliamo di diritti di rappresentanza, di sindacati, che può comprensibilmente sembrare noioso. Parliamo di auto, dopotutto la Fiat di questo si occupa. Qual è il piano industriale di Marchionne? In parole povere, che auto ha in mente di progettare, in quali stabilimenti e quando? In un paese normale, un’azienda normale, con un ad normale, e con politici normali, già si saprebbe. In Italia, c’è la Fiat, con Marchionne, e con politici che sono tutto fuorchè “normali”, risultato: non si sa. Ignoto è anche il motivo per il quale Marchionne si ostina a non rivelare i progetti industriali del Gruppo, azzardiamo qualche spiegazione, in ordine crescente di probabilità:
1- Le auto che intende produrre sono talmente belle, così confortevoli, coinvolgenti, competitive, che basterà il solo effetto sorpresa a farle vendere come il pane
2- Non ha un progetto industriale
3- Ce l’ha eccome, riguarda la Serbia, la Polonia, il Brasile, gli Stati Uniti e chissà, forse pure l’Antartide, non l’Italia però
Tutte le auto elencate all’inizio sono prodotte fuori dall’Italia, a parte la Panda. Nel nostro paese si fa la Panda, e se ne fanno tante. Qual è il piano industriale della Fiat? La Panda. Beh è davvero difficile a questo punto non capire il motivo per cui la Fiat in Europa va male. La ragione per la quale il Gruppo Fiat, che pure ha al suo interno innumerevoli marchi, non raggiunge i livelli di produttività e di vendite di Toyota e Volkswagen. Non alla Volkswagen, ma sempre in Germania, alla Opel, Marchionne ci andò. Tentava di comprarla, come aveva fatto con Chrysler, e presentò le sue idee e i suoi progetti. Tornò in Italia con la coda fra le gambe, la Merkel e i sindacati pretendevano di vedere un piano industriale, che lui non aveva. A Detroit il suo progetto venne accettato perché l’alternativa era la bancarotta, il fallimento. Pochi mesi fa il Gruppo Fiat ha restituito agli Stati Uniti, al tesoro americano, i prestiti che aveva ricevuto per il salvataggio di Chrysler. Dio solo sa quanti aiuti economici la Fiat ha ricevuto dall’Italia, e neanche Dio sa quanti ne ha restituiti. Hanno fatto il Fiat Freemont e la Lancia Thema. Un Cherokee e una Cadillac venuti male. Ma non venuti male perché sono auto scadenti, intendiamoci, sono belli, davvero. Venuti male perché non sono macchine competitive, perché sono il tipo di auto che compreranno sempre meno persone, sempre più grandi, sempre più costose e sempre più inquinanti. E’ questo il futuro per l’auto che vede il manager italo-canadese? E soprattutto che si produrrà in questo benedetto paese oltre a quella super innovativa auto, e dal quanto mai inusato e fantasioso nome di Nuova Panda? Davvero mi piace l’idea della Fiat come fabbrica globale, davvero mi interessa la sua sfida alla competitività, ma altrettanto importanti sono le sue origini, dove è nata, chi ci ha lavorato e chi ci lavora, variabili che non si possono ignorare.
Luca Orfanò