Sono talmente tanti i meeting dei leader europei ogni settimana, di vario tipo, da sembrare quasi routine, noiosa e macchinosa burocrazia su scala continentale. Per certi versi è così, per altri qualcuna di quelle riunioni si è rivelata determinante, in positivo o in negativo, dipende dai punti di vista. Le domande che vorremmo porre a questi leader sono varie, del tipo…Che state combinando? Qual è la vostra linea di politica economica (leggi: Che fine faremo ? Lavoreremo? ) ? Domanda da un milione di dollari ( o di euro? ) : a chi tocca dopo la Grecia? Le tappe sono segnate. Lunedì scorso l’Eurogruppo ha deciso di mandare ad Atene un bell’uovo di pasqua in largo anticipo con dentro 130 miliardi. Di cui 14,5 gli serviranno per ripagare bond nazionali in scadenza il 20 marzo. Tra spese militari, per cui la Grecia spende in media all’anno 7 miliardi, debiti coi creditori privati, non sappiamo quanto gli resterà, possiamo solo augurargli che basti. Tra il 30 e il 31 marzo i ministri delle finanze UE si riuniranno a Copenaghen per decidere il rafforzamento del Fondo Salva Stati. Si tratta di una specie di cassa comune, come quelle che fanno i ragazzi quando vanno in vacanza insieme, le precondizioni sono due però: perché la cassa funzioni ciascuno deve contribuire con la medesima quota, e poi serve fiducia reciproca.
Qui mancano entrambe, speriamo vivamente che i ministri a Copenaghen non guardino la Sirenetta, ma prendano decisioni. A chi tocca dopo la Grecia? Al Portogallo. Il Paese di Barroso non se la passa bene, e nemmeno i portoghesi. Le cifre parlano di un deficit di bilancio del 9,3% del PIL , il parametro per restare nell’euro è del 3% del PIL. Sforato di poco. Gli servirebbero aiuti di proporzioni greche, ma chi glielo dice ai tedeschi?? Ultimamente questi ultimi non sono ben visti nemmeno dai portoghesi, un’intervista dell’estate scorsa riporta uno sfogo del leader lusitano Soares, che il suo paese nell’UE ce lo ha fatto entrare. Soares sbotta sostenendo che gli stati insolventi dovrebbero rifiutarsi di obbedire alle richieste tedesche, “…non vedo come a dettare legge possa essere la Germania, responsabile di due guerre mondiali…”. Pensate un po’ che bel clima di fratellanza europea che si respira. Forse può essere più di aiuto capire cosa sta succedendo in Europa, e negli USA, cambiando punto di vista. Le decisioni in materia di politica economica per i paesi deboli dell’Unione fino ad ora le ha prese la cosiddetta Troika. Un trio formato da Bce, Fmi e Commissione Europea. Un trio che più che da queste istituzioni sembra composto dalle tre Moire, le figlie di Zeus Lachesi Cloto e Atropo. La prima filava, la seconda svolgeva il fuso e la terza tagliava, ponendo fine alla vita.
Non voglio dire che le politiche della Troika stanno ammazzando gli stati a cui sono rivolte, ma quasi. A tutto questo forse una spiegazione e anche una soluzione, forse esiste. In Europa comanda la Germania, la Merkel. E’ la cancelliera che detta la linea della Commissione Ue, che limita le operazioni della Banca Centrale, per il semplice motivo che ad avere più soldi è la Germania. Quindi la massaia ( Merkel) supportata dal suo cagnolino ( Sarkozy) non cede dalle proprie posizioni rigoriste, a volere una regola per il bilancio pubblico, il famoso fiscal compact, è stata proprio lei infatti. Chi dall’interno dell’Unione, fin da quando ha avuto il potere, ha preso misure a favore della crescita, oltre che del rigore, è stato Mario Draghi, affiancato dal più marginale ma comunque fondamentale ruolo svolto da Mario Monti in Italia. Il Governatore appena nominato ha abbassato i tassi di interesse, ha inaugurato una serie di prestiti alle banche al caritatevole tasso dell’1% . Questi sono solo alcuni dei provvedimenti intrapresi da un uomo che siede forse nella più importante istituzione comunitaria, un pilastro fondamentale dell’Unione. Se l’aiuto interno quindi è arrivato dai Supermario, quello esterno viene da New York. Christine Lagarde, direttrice dell’FMI, è in rotta di collisione con Angela Merkel. Due opposte visioni dell’economia, abbastanza ovvio visto che la prima ha una laurea in materia, la seconda la laurea ce l’ha in chimica. Anche la direttrice Lagarde, come il suo predecessore Strauss-Kahn, non vede di buon occhio i vertici dell’eurozona.
Al di là dell’Atlantico non si capacitano dell’assenza di politiche per la crescita. La visione a senso unico della Germania, l’austerity prima di tutto, i conti pubblici prima ancora dei posti di lavoro, stanno portando l’Europa alla deriva. Il Fondo Monetario chiede un rafforzamento del Fondo Salva Stati tanto da arrivare alla cifra di 750 miliardi di euro, livello ritenuto sicuro per evitare che il problema greco possa diffondersi in tutto il continente. Ma chi c’è dietro Christine Lagarde? Perché mai al Fondo Monetario interessa così tanto il destino dell’euro e dell’Europa, che sembra impotente di fronte alla crisi. L’ombra di Barack Obama è anche qui, stavolta non c’entra l’uomo, bensì la carica che ricopre. Il FMI è finanziato dagli stati che ne fanno parte, è come un’azienda, il cui azionista di maggioranza sono gli Stati Uniti. Il Presidente quindi ha tutto l’interesse che i soldi del suo paese, dei contribuenti americani, vengano spesi bene, cioè con politiche finalizzate alla crescita e alla creazione di posti di lavoro. E’ il modo in cui si stanno spendendo i soldi nel suo Paese, e i dati gli danno ragione. In America l’occupazione è in crescita da 24 mesi consecutivi, noi, con la calcolatrice in mano, stiamo a guardare.
Luca Orfanò
Zar Vladimir colpisce ancora
Ho vinto una battaglia onesta e aperta”, questa è stata la prima dichiarazione di Vladimir Putin, neoeletto Presidente della Federazione Russa. Si potrebbe chiacchierare per ore sulla legittimità del voto, sui presunti brogli, sul suo potere sconfinato. Ma sarebbero e sono appunto chiacchiere, Putin ha vinto, capire se l’ha fatto in modo corretto o meno spetta principalmente ai sudditi…ehm…scusate, intendevo dire cittadini russi. Quello che, a mio avviso, è invece importante capire per noi occidentali, è la sua politica estera, che ci interessa direttamente. E’ vero che la Russia ha perso nel corso degli ultimi vent’anni il rango di superpotenza, non facendo nulla per impedire una regressione dal punto di vista tecnologico-militare, almeno questo è quello che si evince dai dati ufficiali. Tuttavia conta ancora nel mondo, e tanto. Mosca forma insieme a Washington e Pechino il nuovo triangolo delle potenze della terra. Il fatto che sia potente però, non vuol dire che bisogna perforza temerla.
La Russia di oggi, per quanto agli occhi dell’occidente appaia poco democratica, non è l’URSS, rispetto all’estinto gigante sovietico, la nuova Russia ha caratteristiche migliori ma anche peggiori. La madrepatria di Putin non cerca conflitti, ma tenterà in ogni modo di ritornare a pesare come un tempo nello scacchiere mondiale, e se sul secondo gradino del podio ora ci sono i cinesi, per il momento i russi si accontenteranno del terzo. Essendo la nazione più grande del mondo, sono ovviamente impegnati su vari fronti. Putin avrà sempre un occhio puntato sul Pacifico, dove si gioca la vera partita tra le tre superpotenze. In Medio Oriente la Russia gioca a Risiko con gli Stati Uniti, quella regione è un gran polverone dove russi e americani si gettano alla ricerca di influenza politica e benefici economici, spesso perdendo più di quel che guadagnano. L’ex agente del KGB dovrà poi vigilare sulla Cina, scomoda e ingombrante cugina, l’unica cosa su cui sono d’accordo è opporsi quando si tratta di fermare dei massacri. I rapporti con gli Stati Uniti si potrebbero definire semplicemente “normali” , si concentrano perlopiù sullo scudo spaziale. Quello sullo scudo sembra davvero un dialogo da cabaret, gli Usa vogliono metterlo nell’Europa dell’Est, i russi si sentono minacciati, gli americani allora dicono loro che è rivolto a sud ( Iran) , possono stare tranquilli, quelli allora chiedono che la cosa venga messa per iscritto, gli yankees rispondono che devono fidarsi. Io lo trovo davvero divertente.
L’unico nuovo attore, ancora poco influente, con cui forti attriti non vi sono stati, Putin e i russi lo trovano nell’Europa. La politica russa è cruciale per l’Unione Europea, sotto vari punti di vista. In primo luogo quello energetico, i gasdotti della Gazprom che arrivano nell’Europa centrale e meridionale, passando per l’irrequieta Ucraina, coprono un’ importante fetta di fabbisogno energetico, è quindi interesse dell’Unione vigilare su questo aspetto. Dal punto di vista economico tuttavia si capisce quanto l’UE sia importante per la Russia, avendo quest’ultima il 40 % delle riserve monetarie in euro, ed essendo l’Europa uno tra i suoi primi partner commerciali. Il Vecchio Continente deve quindi giocarsi bene le sue carte, l’Unione ( Europea) e la Federazione ( Russa) hanno il comune obiettivo di crescere politicamente ed economicamente, e nessun interesse a ledersi a vicenda. Entrambe, per ora, sono piccole imbarcazioni, in un piccolo mare, perlopiù occupato da due ingombranti portaerei ( Usa e Cina) , il loro principale obiettivo è rimanere a galla. Putin nella migliore delle ipotesi guiderà il suo Paese per 6 anni, per stabilirne la legittimità vi sono apposite agenzie. Il consiglio per l’Europa quindi, per quel che può valere, è di fare amicizia col gigante russo, e di non gridare al complotto e ai brogli elettorali. Tanto il Premio Nobel per la Pace non ce lo danno più.
Luca Orfanò
Il colonialismo dagli occhi a mandorla
I’ll love you, dear, i’ll love you
Till China and Africa meets…
Così scriveva il poeta inglese Auden. Non siamo certi del primo verso, ma del secondo si, senza dubbio. I due colossi si sono incontrati, l’Impero Celeste si è avvicinato da qualche anno al Continente Nero. Vi chiederete cosa può fregarcene del fatto che i cinesi vadano in Africa ( non viceversa ) o di altre notizie simili. Forse è vero, direttamente a noi italiani, Europei, la cosa non interessa . A mio parere però è importante avere anche uno sguardo d’insieme, sapere che cosa fa il gigante asiatico, dato che alle sue mosse si interessano tutti, dai mass media alle cancellerie occidentali. Mentre l’Europa si arrovella su se stessa e pratica giochi suicida durante il suo percorso per l’unificazione, mentre gli Stati Uniti tentano lentamente di riprendersi dalla crisi riconquistando il timone dell’economia mondiale, la Cina si muove, costantemente, in ogni ambito. Insieme agli altri paesi componenti della categoria dei Brics ( Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) vive un periodo di sviluppo, di crescita costante. Gli unici momenti economicamente negativi per la Cina sono stati caratterizzati da una bassa crescita, 2-3 % , tassi da sogno per noi poveri europei. La si potrebbe definire la sindrome del “secchione”, quello che quando prende otto in un compito si lamenta perché gli abbassa la media da 9.5 a 9. E’ la prima tra i Brics, tallona gli Stati Uniti come seconda potenza economica mondiale, ma bada bene a superarli. La Cina ha diversi problemi interni, si può dire che ha difficili rapporti con il sistema democratico, ma al tempo stesso ci sono aspetti sociali, oltre che economici, che lo rendono un paese evoluto, e quindi difficilmente criticabile. Non ho certo la pretesa di parlare dell’economia, della società, della politica del gigante asiatico, ci sono numerosissimi saggi e anche semplici romanzi che lo descrivono magistralmente, ci limitiamo pertanto agli aspetti internazionali che riguardano la Cina, e che più ci interessano. Secondo The Heritage Foundation tra il 2005 e il 2010 il 14% degli investimenti esteri della Repubblica Popolare sono stati destinati all’Africa Sub-sahariana. Sempre in base ai dati forniti da The Heritage Foundation lo scambio di merci tra Cina e Africa ha toccato i 120 miliardi di dollari. Un dato tra tutti risulta curioso, nei due anni precedenti al 2010 la Cina ha erogato prestiti per i paesi poveri, specialmente africani, in misura maggiore della Banca Mondiale. Dall’Angola al Kenya, dallo Zambia alla Tanzania ciascun paese della regione ha beneficiato degli investimenti cinesi. Sono nate scuole e ospedali, è stata avviata un’imponente macchina di infrastrutture, migliaia di persone hanno trovato occupazione nella costruzione di strade e aeroporti.
Certo oltre ai benefici ci sono gli aspetti negativi dell’arrivo delle aziende cinesi in Africa. In quei paesi è arrivato il classico business cinese, che tanto bene conosciamo in Europa: quello del tanto fumo e niente arrosto. A Lusaka, capitale dell’Angola, è stato costruito trionfalmente un ospedale che qualche mese dopo è crollato, e altri edifici in diverse regioni sono andati a terra in seguito a delle semplici precipitazioni. In alcune miniere le condizioni dei lavoratori sono, per usare un eufemismo, non troppo tutelate. Un terzo del fabbisogno petrolifero della Cina viene dall’Africa, ed infatti numerose sono le industrie petrolifere che spaziano a piacimento nelle foreste dello Zimbabwe o nei parchi nazionali del Gabon. Insomma il Continente Nero è un pozzo appena scoperto e la Cina vi si è buttata a capofitto, e per prima. La Cina sfrutta le risorse di cui è ricco il suolo africano, dai minerali alle fonti energetiche, ne dipende in gran parte. Molti sono i danni provocati da un paese che deve rispondere alla domanda interna di più di un miliardo di persone, ma altrettanti sono i benefici di cui i paesi dell’Africa sub-sahariana hanno goduto. Sono dati reali l’aumento del tasso di alfabetizzazione, il miglioramento in certe zone delle condizioni igieniche e sanitarie ed un incremento dell’occupazione. Quindi per quanto gravi siano per la gente e per il territorio, sono adeguatamente compensati, lo dimostra il fatto che le popolazioni e i governi africani accettano gli investimenti cinesi in cambio delle ricchezze del territorio. C’è un abisso tra l’intelligente azione cinese e il cieco colonialismo europeo, che fino a 50 anni fa ha devastato il continente africano, depredando e sfruttando a piacimento la terra e le persone in nome di una presunta superiorità. I cinesi rispettano le popolazioni, puntano al loro benessere, hanno la lungimirante/ovvia convinzione che dal benessere della gente del posto dipendano i buoni rapporti coi governi africani, le possibilità di investimento. I cinesi hanno instaurato relazioni costruttive con una parte del mondo che gli europei hanno snobbato, e gli americani hanno usato per farci i safari o poco più. Gli Stati Uniti hanno scoperto l’importanza del continente Nero tardi, per troppo tempo si sono occupati di chiedere solo la restituzione dei crediti inconsapevoli delle ricchezze del territorio di cui si poteva beneficiare migliorando anche le condizioni di vita della popolazione.
Per anni i vertici del Pentagono hanno girato i paesi africani in cerca di uno che volesse ospitare l’Africom ( Dipartimento della difesa americano per i paesi africani ), alla fine la sede dell’African Command è finita in città molto poco africane, tra Berlino e Stoccarda. Le basi operative invece sono proprio da noi, tra Vicenza e Napoli. L’importanza di questo continente è rivelata anche dal fatto che uno dei primi viaggi del Presidente Obama, prima ancora che in Europa, fu in Angola e in altri stati africani. Non sarà difficile per i cinesi, qualora lo vorranno, trovare un paese che voglia ospitare sue basi militari. Non sarebbe saggio sottovalutare, come già l’Occidente ha fatto, le potenzialità del continente africano. Oltre il Sahara c’è molto di più di quanto si creda. Nigeria e Sud Africa sono due stati simbolo di questo sviluppo, pur accompagnato da pesanti condizioni di degrado. Il primo paese sta aumentando la sua popolazione vertiginosamente, e nel giro di qualche decennio sarà terzo dopo India e Cina. La Nazione di Mandela è l’ultima carrozza del treno Bric, un superveloce. Non si instaurano con gli stati africani buoni rapporti, portando loro latte e acqua come gli europei hanno fatto per secoli, ma costruendo scuole e ospedali, strade e ferrovie, come i cinesi fanno da un decennio. L’Africa sta scegliendo in questi anni i suoi partner commerciali, e gli europei non sono la scelta principale, a meno che non cambino la loro politica, realizzando che l’Africa non è il cupo e vuoto universo descritto da Joseph Conrad nel Cuore di tenebra, ma molto di più, davvero molto di più.
Luca Orfanò
Giochi Olimpici? No grazie
E cosi sarà. Il governo Monti ha chiuso le porte di un possibile approdo dei Giochi Olimpici del 2020 nella capitale, avendo mostrato già in precedenza molte perplessità e scetticismi a riguardo. Monti ha deciso di salvaguardare la spesa pubblica tenendola a freno ed evitando esborsi futuri di importo difficilmente determinabile. Le stime parlavano di 9,8 miliardi di investimento, di cui almeno 8 a carico dello Stato, una cifra decisamente importante che sarebbe stata destinata a lievitare come sempre accade in queste occasioni dove è importante mantenersi all’altezza delle aspettative e l’immagine viene prima di ogni rigore di bilancio. Prima di dare la mia personale opinione sulla decisione di Monti voglio citare Frederic Bastiat, un economista francese di metà 800’ che nel suo saggio “Quello che si vede e quello che non si vede”(il titolo è di per sé emblematico) espone il “Racconto della finestra rotta”.
Il racconto descrive la storia di un commerciante a cui un ragazzino rompe una finestra del suo negozio. I passanti consolano il commerciante dicendo che la rottura della finestra crea lavoro per il vetraio, che grazie a queste entrate potrà comprare più pane, creando maggiori entrate anche per il panettiere, che potrà comprare un paio di scarpe nuove dal calzolaio, e via dicendo. I passanti quindi sostengono che il ragazzino sia un pubblico benefattore poiché la sua azione genera benefici economici per tutta la città. Questo è quello che si vede. Quello che non si vede è la “dark side”, ovvero i maggiori costi per il commerciante che deve ripararsi la finestra, avendo quindi meno soldi da spendere dal panettiere, il quale di conseguenza avrà meno soldi per potersi comprare scarpe nuove dal calzolaio ecc. Ho quindi paragonato il ragazzino che rompe la finestra al presidente Monti che accetta di candidare l’Italia per le prossime Olimpiadi (non me ne vogliano gli sportivi, sto facendo considerazioni economiche). Quello che si vede è una serie di nuovi appalti, costruzioni ed edifici imponenti in grado di ospitare atleti e spettatori, nuovi stadi e strutture sportive all’avanguardia, nuovi posti di lavoro e introiti derivanti dall’afflusso di turisti dall’estero. Senza dubbio il ritorno di immagine (che ahimè non è monetizzabile) e gli eventuali ritorni economici per Roma e, in generale, per l’intero paese sarebbero stati notevoli in quanto pochi eventi al mondo permettono di ottenere questo tipo di visibilità e danno l’opportunità di ammodernare le infrastrutture urbane al fine di raggiungere un livello di eccellenza.
Tuttavia siamo in Italia, lo stesso paese dove i maggiori impresari hanno riso a crepapelle sfregandosi le mani la notte del terremoto all’Aquila, poiché già pregustavano i profitti conseguenti le necessarie ricostruzioni nel capoluogo abruzzese. Lo stesso paese dove l’unica società sempre perennemente in utile è la Mafia.spa, alla quale senza dubbio sarà dispiaciuto sapere di non avere più la possibilità di mettere le mani su un tale malloppo. Inoltre, mafia e imprese disoneste a parte, c’è il problema dell’allocazione efficiente delle risorse statali, un tasto decisamente dolente. Essendo il budget difficilmente quantificabile, la prospettiva di avere carta bianca è quantomeno plausibile e, si sa, quando lo Stato spende senza vincoli di bilancio, ecco che gli sprechi avanzano e vanificano tutti gli enormi sacrifici che stiamo sopportando in questo periodo di austerity. E’ un po’ come quando tuo padre ti manda a fare la spesa con i suoi soldi senza averli prima contati: chi di noi non ne ha mai approfittato? La trasparenza sulla spesa pubblica è un obiettivo ancora molto lontano, il governo Monti sta agendo in maniera rimarchevole in tal senso, purtroppo però nel 2013 la musica cambierà e il nostro caro governo tecnico tornerà alle precedenti occupazioni, lasciando il posto ai nostri cari vecchi mai abbastanza rimpianti politici che non si accorgono che nel loro partito mancano 13 milioni di euro. Alla luce delle precedenti considerazioni, la decisione di Monti non può che trovarmi d’accordo.
E’ però comprensibile che ci sia del dispiacere in quanto le Olimpiadi sono sempre un motivo di orgoglio per il paese ospitante ed è normale che il sindaco Alemanno in primis, così come tanti altri, non condivida questa decisione che preclude la possibilità di un rilancio del brand “Italia” nel mondo, in un momento dove ci sentiamo decisamente sottovalutati. Tuttavia mi duole ammettere che, nonostante i miei sentimenti di spiccato nazionalismo (che rasentano lo zero), probabilmente l’Italia non è pronta ad affrontare un evento di tale importanza ed il fatto che le porte siano state chiuse può averci salvato da una brutta figuraccia. In attesa di Londra 2012, se guardiamo indietro, l’ultima città europea ad ospitare i Giochi Olimpici è stata Atene e si può ben immaginare che impatto abbia avuto questa manifestazione sui bilanci (già tremendi di per sé) dello Stato. La decisione del governo è perfettamente coerente con la policy che sta adottando nelle altre riforme, quindi non possiamo fare altro che ringraziare di non doverci sobbarcare ulteriori spese e fare in modo di trovarci in ben altra situazione se l’occasione di ospitare le Olimpiadi si ripresenterà in futuro.
Cristiano Ventricelli
Monti e "l'ebbrezza della flessibilità" secondo Cristiano Ventricelli
Il posto fisso è monotono, scordatevelo. Dove? In Italia? Dove ormai l’ambizione dei giovani non è più quella di fare i calciatori o le veline ma di diventare dipendenti pubblici in modo da essere sicuri di potersi girare i pollici tutto il santo giorno (so che non sono tutti così, per fortuna) senza timore di essere spediti a casa? Dove senza fideiussione sulle case di tutto il tuo albero genealogico le banche non prestano neanche la penna per compilare i moduli? Dove l’unico modo per veder aumentare il tuo stipendio, che ormai ha l’andamento di un elettrocardiogramma piatto, è di ottenere degli scatti di anzianità (se sei bravo nel tuo lavoro non gliene frega niente a nessuno)? Dove se vieni licenziato a 50 anni, anche se hai inventato la cura contro l’AIDS, sei automaticamente fuori dal mercato del lavoro? Dove dopo esserti laureato con 110 e lode, aver fatto un master all’estero che ti è costato almeno 20.000 euro ed esserti preso un Phd in una delle più prestigiose università internazionali arrivi al colloquio di lavoro e dopo che il tuo CV è stato letto per neanche due minuti ti senti rispondere che sei troppo qualificato? Dove i datori di lavoro farebbero i salti mortali per farti lavorare in nero per non doverti pagare quello straccio di pensione che (forse) potrai goderti alla tenera età di 85 anni?
Mario Monti ha finalmente dato prova di avere una personalità (mi viene da sorridere pensando a Crozza che lo imita fingendosi un robot), tuttavia questa sua uscita, sebbene faccia parte di un più ampio discorso, mi è parsa fuori luogo. E’ indubbio che questo governo stia fortemente tentando di rimettere l’Italia in carreggiata e sia intenzionato ad eliminare le pecche che da sempre contraddistinguono il nostro paese per inefficienza e sprechi. Allo stesso tempo, però, è necessario sottolineare come Monti e la sua squadra, benché abbiano messo a segno dei colpi epocali come la riforma delle pensioni, non vengono da Hogwarts e non sono in possesso di magici poteri. Rendere l’Italia un paese flessibile è fantascienza, persino Chuck Norris getterebbe la spugna. Con questo non voglio assolutamente dire che siamo destinati all’immobilismo da qui alla fine dei tempi, tuttavia il nostro paese è connotato da distorsioni di proporzioni bibliche che hanno a che fare con il nostro modo di pensare, con la nostra cultura, con il modo in cui siamo stati cresciuti ed educati. La predilezione per la “via più comoda” non si elimina con un decreto. Non esistono riforme in grado di convincere un evasore totale che il danno che egli infligge al paese ha l’effetto di un boomerang. Nessun commerciante smetterà di pagare il pizzo perchè la pena per questo tipo di reato è stata inasprita. Non ci sono manovre che impediscano all’idiota di turno di sedere nel cda di una importante società, cosi come ad un salumiere di fare pratica nelle sale operatorie di un ospedale. Gli strumenti della politica sono efficaci sui bilanci, sui codici, sulle fatture.
Qui però non c’entrano i numeri, qui si ha a che fare con l’irrazionalità del comportamento umano, argomento che per la sua bellezza e complessità meriterebbe di essere trattato in un apposito blog. Il governo Monti apporterà sicuramente delle migliorie essenziali per far tornare l’Italia protagonista al centro dell’Unione Europea, ma con un lasso di tempo cosi limitato (2013) e un consenso che poggia su di un equilibrio precario è davvero improbabile che l’obiettivo flessibilità possa affondare le sue radici nell’inospitale terreno degli “espedienti”. Perciò Monti deve misurare attentamente le sue parole e non lanciarsi in proclami più grandi di ciò che può realmente realizzare. Il lavoro non è un argomento sul quale è bene speculare. I giovani come me danno ormai per scontata la via della fuga per inseguire opportunità di carriera e soprattutto gratificazione personale. Non si tratta dei soldi o del prestigio. Coloro che vogliono dedicare la vita alla ricerca (fenomeno dei cosiddetti “cervelli in fuga”) non ambiscono a super bonus o posizioni di spicco, basterebbe non avere quella spada di Damocle sulla testa chiamata “precarietà”. La precarietà porta all’incertezza, l’incertezza porta all’irrazionalità, l’irrazionalità porta all’errore. La sicurezza del lavoro consente di pianificare a lungo termine, cosa sarebbe la nostra vita se non avessimo la possibilità di ragionare su eventi futuri ai quali attribuiamo una certa probabilità di accadere? Gli Stati Uniti pre-crisi erano la quintessenza della flessibilità, un ambiente in cui avevi il controllo di te stesso senza percepire dietro di te l’ingombrante figura dello Stato (vedi i paesi scandinavi). Ora anche loro convivono con la disoccupazione. La strada è tutta in salita, solo la crescita e la dinamicità possono riportare la flessibilità nell’economia. Se gli Stati Uniti sono passati dall’essere un torrente ad un fiume, l’Italia può essere raffigurata come uno stagno che ora inizia ad smuoversi perché ci stanno tirando dentro i sassolini.
Questa prospettiva ambientale rende l’idea di come sia difficile sradicare una forma mentis sedentaria e attendista che porta a preoccuparsi solo ed esclusivamente della tutela del microcosmo nel quale si vive. In conclusione, tornando alla frase di Monti, mi preme sottolineare come la sua provocazione abbia avuto come obiettivo quello di iniziare a diffondere una necessità di cambiamento. Questo lo sappiamo, ce ne siamo accorti, abbiamo capito che o si cambia o si sprofonda. Il cambiamento deve però essere bilaterale. Io, italiano, rinuncio alle tagliatelle della mamma la domenica, alle cene fuori con la fidanzata e alla birra con gli amici. Sono quindi disponibile a spostarmi, sono pronto a cogliere al volo tutte le opportunità che mi si presentano, sono pronto a dare il meglio di me per raggiungere i miei obiettivi. Mi aspetto quindi che lo Stato ponga in essere delle misure mirate alla tutela e al sostegno del lavoratore, non sto parlando di cassa integrazione o di art.18, sto parlando di efficienza. La flessibilità permette la crescita, sia dello Stato che dei cittadini, tuttavia ad oggi non ve ne è traccia. Il posto fisso è noioso ma dà di che mangiare. Al momento non ci sono alternative. In attesa che Chuck Monti smuova le acque con un calcio volante.
Cristiano Ventricelli
Monti e "l'ebbrezza della flessibilità" secondo Luca Orfanò
“ Il posto fisso è monotono “, forse non era così formulata, ma il concetto è senz’altro chiaro. Quello che è altrettanto chiaro è che questa è una frase estrapolata da un discorso, che purtroppo per Matrix, non hanno seguito tutti gli italiani. Dire che al giorno d’oggi, ma anche da sempre, il posto fisso è un valore per gli italiani è vero, sostenere che garantisce sicurezza, la costruzione di un futuro, l’autosufficienza da uno Stato che è tanto apparato-burocrazia e poco Welfare, è vero. Ma è anche scontato, nessuno vuole abolire il posto fisso, possiamo stare tranquilli. A mio modesto parere quella del Presidente Monti è stata una provocazione. Certo l’intento non era quello di suscitare polemiche ed aizzare un esercito di pseudo paladini di una giustizia sociale che non c’è, mentre il posto fisso è lì, almeno quello statale. Mario Monti voleva iniziare una riflessione, il suo era un invito a soffermarsi su un mondo che cambia, una realtà del lavoro che muta in modo indecifrabile, tuttavia i suoi cambiamenti sono determinanti, perché riguardano la vita delle persone. Il premier ha tentato di stuzzicare l’opinione pubblica con una delle sue riflessioni verbali, spesso ben celate, forse non stavolta. Tuttavia è bene che sia così, che il nostro Paese e noi tutti ci svegliamo, che capiamo che niente ci è dovuto, i diritti, anche quelli si conquistano, e anche il posto di lavoro. Ben venga se qualcuno trova un buon lavoro, ben retribuito e a pochi passi da casa, noi tutti glielo auguriamo, ma queste condizioni non devono esserci necessariamente, bisogna essere pronti a trasferirsi, vivere talvolta dei disagi, per ottenere delle migliori condizioni. E’ necessario spendersi, mettersi in gioco, come si direbbe in quest’era digitale, non basta più il “ mi piace “ su Facebook, bisogna darsi da fare. Il “ posto di lavoro vicino a mamma “ , come ha provocatoriamente sostenuto il Ministro Cancellieri, è un reale desiderio della maggior parte degli italiani, perché negarlo?
Un’aspettativa che ognuno ha diritto a realizzare in modo legittimo, ma ciascuno di noi deve anche realizzare che non è sempre possibile. I bamboccioni esistono, è la verità, ed è legittimo anche dire che le tasse sono belle, come sostenne uno dei pochi statisti che il cielo ha donato all’Italia. Questo paese ha bisogno di essere scosso, spronato da un letargo troppo lungo, di cui si, siamo vittime e responsabili tutti. Qualcuno di voi, giustamente, potrebbe contestare il fatto che bisogna darsi da fare, rispettare le regole e comportarsi onestamente. Perché mai dovrei fare il fesso quando gli altri fanno i furbi? Questa domanda è un cancro del paese, ed è in metastasi. Il rispetto delle regole deve diventare, oltre che dovere, valore. Chi rispetta le regole, chi paga le tasse, fa cose buone, per lui e per tutti i cittadini. Bisogna capire, la gente onesta deve capire, che i “ furbi” non sono tali, agiscono contro l’interesse della collettività, sono criminali nella stessa misura di un ladro. Anzi forse di più, perché il ladro agisce in prima persona, invece per esempio, l’evasore è un vigliacco. L’Italia è il nostro paese, qui siamo nati e le leggi vigenti sono sufficienti per garantire a tutti un luogo civile in cui vivere, con persone civili. Chi trasgredisce queste regole va contro tutti gli altri. In questo paese per troppo tempo si è pensato che chi andasse contro le leggi fosse uno capace, che sapeva quel che voleva. Invece no, chi è contro le regole è contro tutti quelli che le rispettano, è contro il benessere della società. Chi non paga le tasse non è furbo perché si intasca i soldi, è il ladro che ruba dalle tue tasche, è il criminale che non permette a tuo figlio di sedere in una scuola che stia in piedi, che non permette a tutti di godere di una efficiente assistenza sanitaria, che non consente di salire su un pullman dove ci sia qualcosa di più delle ruote e dell’autista. Questa digressione era per me necessaria, perché i problemi sono tanti, e in parte li creiamo noi con il nostro atteggiamento. Quindi il posto fisso è un valore, su questo non si discute. In certi paesi anche la flessibilità lo è diventato, non in Italia. Non si può pensare che qui la flessibilità nel lavoro sia qualcosa di sano. In questa Repubblica, che è fondata sul lavoro, il concetto di occupazione flessibile non esiste. Esiste invece solo quello di precarietà.
La precarietà è una bestemmia sociale, che abbrevia le vite, riduce le possibilità di miglioramento, la precarietà, checché se ne dica, non è lavoro, o almeno non lo è nei termini in cui è inteso nella Costituzione. La precarietà è atroce non solo poiché rende non stabile un’occupazione, una vita, ma anche perché ammazza i sogni, che tutti noi abbiamo diritto di vivere. Due cose sono certe quindi, i posti fissi sono pochi e la flessibilità in Italia non esiste. Il Presidente Monti ha un modello, quello danese. In Danimarca la flessibilità è accompagnata da un forte Welfare. Si può facilmente cambiare lavoro, non perderlo, ma questo rischio è protetto dallo Stato. Forti sussidi, che diminuiscono nel tempo, come è ovvio e giusto, una mirata spesa sociale e quindi un’assistenza garantita, questi sono i requisiti minimi di un buon modello di flessibilità In Italia questo non esiste principalmente perché non c’è lavoro, e poi per la mancanza di un vero Welfare, quello italiano è solo assistenzialista, non è propositivo. In Gran Bretagna subito dopo essere andato a ritirare il sussidio di disoccupazione, siedi ad un tavolo con un personale che si occupa di collocamento. Il disoccupato riceve proposte di lavoro, ed è spinto ad accettarle. In Italia l’unico motivo per il quale si aspetta tanto alle poste per ricevere la disoccupazione è l’interminabile coda col numerino. Chi pensa che la flessibilità sia frutto di una politica liberista si sbaglia. Si potrebbe dire che non c’è niente più di sinistra. Il concetto di flessibilità, quella vera, non la precarietà italiana, è necessariamente accompagnata da un forte Stato sociale. Un’amministrazione pubblica che si prende cura dei suoi cittadini, non mantenendoli, ma tutelandoli, svolge un dovere civico e garantisce giustizia sociale. A mio parere la flessibilità è una delle possibili attuazioni del concetto di lavoro espresso nella Costituzione Italiana.
Il lavoro come mezzo di progresso, come base sociale da cui tutti possono partire, l’unica arma a disposizione di una società non classista ma egualitaria. Per tornare sulla frase del Premier, la mia opinione è che il suo pensiero sia totalmente diverso da come è stato interpretato. Monti intendeva dire con posto monotono, un’occupazione spenta, senza aspettative, senza ambizioni. Con monotonia voleva sottolineare la corta visione delle persone. Si può essere romani e lavorare a Torino, o a Londra. Bisogna farsene una ragione, anzi si dovrebbe auspicarlo. Quello del Presidente del Consiglio era un invito ad esplorare nuove possibilità, soprattutto per i precari, che non hanno nulla da perdere. Monotonia per lui è staticità anziché dinamicità, è pessimismo anziché ottimismo. Bisogna cominciare a parlare sempre più di Europa, e sempre meno di Italia, Francia o Germania, come orizzonte lavorativo. Quella che con estrema difficoltà si sta costruendo è una casa comune, unica al mondo, nonostante i suoi difetti. Un modo per tutelarla è anche sconfinare con la mente, pensare fuori dal comune. Monti invita i giovani alla speranza, ma la speranza motivata dalla forza di volontà. Questo è il tema che voleva suscitare, oramai il mondo è globalizzato, bisogna che ce ne facciamo una ragione, quello a cui dobbiamo ambire è porre regole a questa globalizzazione. Ho cercato di andare oltre la frase, perché bisogna sforzarsi di capire anche quello che forse fa comodo non intendere.