Inserto economico di 
 

Scorie di guerra fredda


Trecento feriti, almeno 108 morti, tra cui trentadue bambini, è questo il bilancio della strage di Hula. Nella cittadina siriana, del governatorato di Homs, si è consumata una delle ultime tragedie del paese ( i massacri si susseguono quasi giornalmente ).  Prima Hamah , poi Homs, ora Hula, in mezzo tante altre città, innumerevoli storie di altri mille villaggi tra le palme e il deserto, tra il fresco blu del Mediterraneo e il secco grigio delle alture del Golan. I massacri vanno avanti in Siria dal marzo del 2011, sull’onda della primavera araba. Un evento quest’ultimo, che ha cambiato radicalmente gli equilibri della regione, non siamo ancora in grado di capire se in meglio . In Siria si muore ogni giorno, lottando nei vicoli di villaggi immersi nel deserto e tra le piazze di grandi città, si muore sotto le bombe, per i razzi, per le torture. Assad, il presidente sanguinario, resiste. L’esercito è ancora in buona parte con lui, resiste soprattutto perché le opposizioni sono divise, resiste perché ha dalla sua i Mukhabarat ( servizi segreti e corpi di polizia speciale) , gli unici che saranno fedeli al regime fino alla fine.
I tentativi per fermare questi massacri, per porre fine alla guerra civile in atto da mesi in Siria, per dare una risposta alle richieste di libertà che con la lotta i siriani stanno cercando di conquistare, sono stati diversi, ma ognuno con esiti infelici. In febbraio il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tentò una risoluzione per cacciare Assad, ma il veto di Russia e Cina fece fallire l’iniziativa. Nei mesi successivi l’ex Segretario Onu Kofi Annan ha incontrato i vertici del regime nel ruolo di negoziatore, tentando disperatamente un accordo per raggiungere almeno un cessate il fuoco. Ha ottenuto solo quello, ed è stato temporaneo, anche Annan ha fallito. Il Consiglio Nazionale Siriano, autorità politica in esilio, è diviso, e questo di certo non aiuta la causa del paese.


Ma se Gheddafi è morto, perché Assad che compie atti ben peggiori ancora vive? Soprattutto perché ancora governa? Perché non è stata proclamata una no fly-zone come in Libia?

La Siria è un paese molto diverso dalle altre nazioni del Maghreb teatri di rivolte popolari, è differente anche dai suoi confinanti arabi. A Damasco governano gli Assad da quarant’anni, prima Hafez il padre, poi Bashar il figlio. Essi sono alauiti, un gruppo religioso mediorientale, una minoranza rispetto agli sciiti e ai sunniti. Una minoranza soprattutto in Siria. Nel paese la maggioranza della popolazione è sunnita, una rivolta della masse, che è ciò che sta avvenendo, per le minoranze può diventare pericolosa, mortale. Assad non combatte più per il potere, lotta per la sopravvivenza, questa è la triste verità che si presenta agli occhi del mondo. E chi si batte per la propria vita non molla, non cede, a meno che qualcuno di più importante, di più potente, non gli garantisca la salvezza. Questo è il principale aspetto che differenzia il regime siriano da tutti gli altri, Mubarak e Gheddafi non combattevano per la vita, o almeno non inizialmente, Assad sì.

 

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La Siria si trova in una posizione geografica delicatissima, in mezzo a equilibri instabili. Da mesi fronteggia l’offensiva diplomatica e di supporto sanitario, che garantisce agli oppositori la Turchia, paese che si sta conquistando un ruolo di leadership nello scacchiere geopolitico, mentre l’Europa sta a guardare. C’è il Libano, terra di confine succube della Siria da decenni, e c’è Israele, con cui le tensioni non si sono mai placate. A sud c’è l’Iraq, paese instabile,  teatro di guerra sul quale appena ora è calato il sipario, ma la tragedia continua. Poi c’è l’Iran, il problema dei problemi nella regione, una quasi potenza nucleare nemica d’Israele sin da quando è nata, e alleata di ferro della Repubblica Araba di Siria. Questa è la situazione incandescente, la Siria è in mezzo. Se salta, saltano tutti gli equilibri, soprattutto se Assad dovesse cadere e non ci dovesse essere più un controllo del Paese fermo e sicuro, la Russia perderebbe l’unico alleato rimastogli in Medio Oriente. L’unico stato del Mediterraneo che ha permesso a Mosca di piazzare le sue basi navali. Putin deve fare molta attenzione, se perde la Siria saluta anche le basi navali. Eppure i russi sono gli unici, con l’ausilio degli Stati Uniti, a poter mandare via Assad. L’ipotesi più probabile è che gli venga offerto un esilio sicuro, garanzie per la sua famiglia, dopodiché potrebbe lasciare. Ma il problema rimane, chi mettere al suo posto? In Libia la sostituzione di Gheddafi è stato un problema fino ad un certo punto, in soldoni: la Libia si controlla meglio e conta meno. La successione di Mubarak è stata gestita dai militari egiziani abilmente, e comunque l’occhio di Washington sul Cairo è vigile, l’Egitto è un alleato che per l’America può rimanere tale. A Damasco le cose sono diverse, la Siria è una porta ben chiusa sullo scivolosissimo corridoio Iran-Israele. Serve per tenere buoni entrambi, il prezzo di questa calma fino ad ora l’hanno pagato i siriani. A giugno Obama e Putin si incontreranno e decideranno il da farsi. Come ai vecchi tempi, da Kruscev e Kennedy  a Gorbaciov e Reagan. Gli attori sono quei due, la Storia si ripete.


Luca Orfanò




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