Inserto economico di 
 

Di sicuro c'è solo la morte

Cosa farei se fossi Zio Paperone e dovessi fare un investimento proficuo? Non mi comprerei una banca. Nemmeno un fondo di investimento. Neanche una super azienda tipo Apple, Google o Facebook. Mi comprerei una compagnia di assicurazione.

Perché? Chi di voi conosce il funzionamento della maggior parte dei giochi da casinò come la roulette, blackjack e simili saprà benissimo che si ha a che fare con le probabilità, quindi in base alle scelte fatte dal giocatore, egli ha una possibilità più o meno alta di vincere un premio più o meno alto. Tuttavia c’è un piccolo dettaglio da non ignorare: il banco vince sempre. Tutti i giochi da casinò sono stati progettati per rendere il banco statisticamente più vincente sul lungo periodo. Ecco perché nessun casinò fallirà mai. Le assicurazioni sono come un banco da casinò: sono progettate per non fallire mai.

Il compito delle assicurazioni è il seguente: esse offrono ad un soggetto una protezione contro il verificarsi/non verificarsi di un determinato evento. A fronte di una quota periodica che il soggetto deve versare, egli sarà certo di non dover pagare di tasca propria gli eventuali danni causati dal verificarsi dell’evento contro il quale si è assicurato. Ciò significa che le assicurazioni guadagnano se l’evento che hanno assicurato non si verifica. Quindi hanno la sfera di cristallo? Prevedono il futuro? Niente affatto, si basano sulla statistica. E’ ovviamente impossibile prevedere con precisione quanti incidenti ci saranno domani in una determinata città, tuttavia analizzando un lungo arco temporale ed un numero elevato di soggetti, possiamo vedere come ciò è successo nel passato tende a ripetersi nel futuro, con un certo grado di variazione. Alla luce di questi dati, le assicurazioni creano delle polizze che le garantiscono un margine di guadagno ed un margine di errore per far fronte ad eventuali variazioni impreviste.

Se le cose stanno davvero così allora perché in questo periodo di crisi anche le compagnie di assicurazione stanno soffrendo? Perché la tendenza degli ultimi anni è stata quella di avvicinare sempre di più le assicurazioni alle banche, mescolando prodotti assicurativi con prodotti finanziari. E’ quindi evidente che trattando strumenti finanziari ci si espone ai rischi di mercato, che in fasi come queste tende a calare. Ecco quindi spiegato il calo dei ricavi assicurativi, soprattutto per quanto riguarda il ramo vita, quello più “finanziario” dei settori assicurativi.

I più attenti ed informati potrebbero però non concordare col fatto che le assicurazioni non falliscono mai, citando il caso AIG. Il colosso assicurativo americano infatti fu salvato dal Tesoro nel 2008, durante la crisi dei mutui sub-prime. Che cosa successe allora? Semplice, si verificò un’ondata di “eventi” per i quali la AIG aveva assicurato i suoi clienti. Di quali eventi sto parlando? Dell’impossibilità da parte della povera gente di continuare a pagare il mutuo sulla casa che aveva stipulato. Chi mai si sarebbe potuto assicurare contro un tale evento? Chi aveva venduto questi mutui sapendo che erano troppo onerosi per poter essere ripagati, ovvero le banche. Così di punto in bianco la AIG si trovò a dover pagare 400 miliardi di assicurazioni (CDS) alle banche che avevano allegramente concesso credito a chicchessia. Tuttavia si tratta di un evento più unico che raro. Una cosa però è certa: chi va con lo zoppo impara a zoppicare. E in questo momento la finanza mondiale è decisamente claudicante. Le assicurazioni farebbero bene a valutare attentamente se conviene ancora andare a braccetto con i molteplici intermediari finanziari in preda al marasma generale dei mercati.

Cristiano Ventricelli

 

Forte come un aquilone

Il 24 marzo in Afghanistan è morto un altro militare italiano, si chiamava Michele Silvestri. Le vittime italiane con quest’ultima sono a quota 50. Ogni volta che accade una tragedia simile, perché tutti quei morti, civili e militari, sono un dramma, del quale chi è vivo deve essere consapevole, ci chiediamo perché siamo ( ancora ) lì, se valga la pena restare. In questo blog sono già stati riportati i costi economici della guerra afghana, non li ripeteremo quindi. Quello che  è importante approfondire, a mio avviso, è il percorso tragico di una guerra che dura da 10 anni, le disgrazie e le speranze di cui è costellata.

L’Afghanistan è un paese pazzesco, assurdo, indefinibile. Incastonato nelle montagne più alte del mondo tra il minaccioso Iran e quella polveriera ( vero problema del Medio-Oriente) che è il Pakistan. L’Afghanistan è uno stato e non lo è. E’ una profusione di culture, colori, etnie disseminate tra deserti che coprono l’orizzonte e montagne che toccano il cielo. Una terra popolata da uomini stanchi, provati da una vita di stenti, in regioni ostili alla sopravvivenza umana, dove si passa dal caldo soffocante del giorno al freddo che di notte, nel deserto come in montagna, penetra nelle ossa. E’ un paese di pastori, che solcano terreni che solo loro conoscono. L’Afghanistan è un paese povero, sfortunato, ma invincibile. E’ una perla incastonata nella roccia, che tutti vogliono e di cui tutti bramano il possesso fin da quando questo mondo è nato. L’Afghanistan è onnipresente nei libri di storia come nelle strategie delle grandi potenze. Il primo a volerlo con tutte le sue forze fu Alessandro Magno. Il figlio di Filippo desiderava arrivare lì, oltrepassare le porte dell’Oriente, quello vero, quello raccontato nei sogni. Per quel paese perse la fiducia di molti suoi compagni, quel paese fu il limite geografico della sua sterminata campagna di conquista, lì, nell’Hindu Kush incontrò Rossane, la donna più bella che avesse mai conosciuto.  Prima e dopo le peripezie del Macedone, a conquistare l’Afghanistan ci provarono i persiani, senza successo.

Dopo di loro a tentare furono tutti, dalle popolazioni centro asiatiche a quelle orientali. Ma l’Afghanistan rimase lì, intatto, un paese che si difende da solo, con le sue montagne e i suoi deserti, indipendentemente dall’incapacità di chi lo governa. Resistette ai dardi infuocati, agli archi e alle catapulte dei macedoni, come nel XIX secolo tenne testa alle cannonate degli inglesi, anch’essi usciti sconfitti dal tentativo di conquista. E poi la prova del 9, il paese centro-asiatico non solo ha tenuto testa alle due superpotenze mondiali, ma è stato per loro causa di enormi danni, politici ed economici. In un caso, quello dell’URSS, fu l’inizio del declino. L’esercito del megalomane Breznev tornò a casa sconfitto e umiliato da un gruppo di Mujaheddin aiutato dagli Stati Uniti. Gli stessi Stati Uniti che sono ora impantanati in quello stesso paese da 10 anni
E’ una storia curiosa quella dell’Afghanistan quindi, teatro di conquiste mai avvenute, e al contempo di migliaia di morti innocenti. C’è chi dice( o diceva ) che ora gli americani siano lì per fare la guerra al terrorismo, chi sostiene che ci siano andati perché il suolo afghano è ricco di gas. Le risposte non ce le ha nessuno, quello che sappiamo è che la maggior parte dei contingenti occidentali è lì, da 10 anni. Per quel che riguarda l’Italia, le sue truppe combattono una guerra, negarlo sarebbe un atteggiamento da ipocrita. Possiamo chiamarla missione di pace, ma “vis pacem facis bellum”, come dicevano i nostri antenati romani, che di battaglie un po’ se ne intendevano, se vuoi la pace fai la guerra.

Però è innegabile il lavoro umano del nostro contingente, testimoniata anche dalla solidarietà che riceve da parte della popolazione afghana. Un modo tutto italiano di aiutare la gente, che ci è stato riconosciuto anche dal comando americano, a parole, ma ci è stato riconosciuto. Non ce ne possiamo andare, e nemmeno dobbiamo porci il problema se rimanere o no, ogni volta che muore un nostro militare. Quando si va in guerra, la morte dei propri soldati è un elemento che si deve considerare. C’è chi dice che stiamo violando la Costituzione, in un certo senso è vero. La violiamo perché siamo in guerra, anche se non ne siamo gli artefici ( parlo solo per gli italiani) , e l’Italia in teorie la guerra la ripudia. Esiste però un’alleanza militare alla quale abbiamo scelto di appartenere, il consenso politico per quella decisione fu unanime. Facciamo parte della NATO,  e per quanto ingiuste possano essere le sue decisioni, per quanto filoamericana essa possa essere, noi ci siamo dentro. Dalla guerra ingiusta, come tutte le guerre, e illegale, quella sì, in Iraq, ce ne siamo andati, e abbiamo fatto bene, non avremmo mai dovuto parteciparvi, quella è una macchia di vergogna nella storia italiana. La guerra in Afghanistan è questione diversa. Ufficialmente il ritiro totale delle truppe italiane e non dovrebbe avvenire nel 2014, questa è la parola di Barack Obama. Nel 2014 se andranno via gli alleati NATO, andremo via anche noi. Nel 2014 l’Afghanistan non sarà la Svizzera, quello che è importante è che i bambini afghani possano tornare a cacciare gli aquiloni.
 

Dollari ladri

Sarà difficile spiegare come fanno gli Stati Uniti d’America a farsi prestare dal resto del mondo 500.000.000.000 di dollari a tasso 0.

Prendiamo soltanto 3 stati, per semplicità: USA, Russia, Vietnam; i dollari americani sono gli unici ad essere utilizzati in tutti e tre questi paesi, quindi sono una specie di moneta mondiale, mentre i soldi russi e quelli vietnamiti possono essere utilizzati soltanto nel proprio stato. Il dollaro americano viene utilizzato come moneta di riferimento per tutte le commodity (materie prime), come sapete il prezzo del petrolio è espresso in “dollari al barile”, anche l’oro si esprime in “ dollari l’oncia” e così via.

Quindi  i dollari sono i soldi più importanti, valgono di più in termini di rischio e in termini di immagine mondiale.

Pensate all’inflazione. Cos’è? È un indice che ti fa capire quanto valgono i tuoi soldi. Se l’inflazione sale vuol dire semplicemente che i prezzi in generale si alzano. Prendete l’ipotesi di una pizza, se la pizza quest’anno costa 5 € e il prossimo anno costerà 6 € vorrà dire che l’inflazione (in un mondo di sole pizze) sarà salita del 20%, perché la differenza tra 6 e 5 € è di 1 euro, che rappresenta il 20% di 5€.

Chiaramente questa è una situazione assurda, però serve a far capire cos’è l’inflazione a chi tra voi non mastica, e non vuole nemmeno sentir parlare, di economia e robaccia simile.

Tornando al discorso dei tre paeselli: USA, Russia e Vietnam…

Se il Vietnam decide di stampare dei soldi e poi li mette in circolazione, potrà farlo soltanto internamente al proprio paese, perché dei soldi vietnamiti nessuno se ne fa nulla tranne che il Vietnam.

E allora? Beh quando un paese stampa dei soldi l’inflazione sale. È un dato di fatto, è matematica. I prezzi salgono e i soldi vietnamiti valgono di meno. Poveretti, meglio non stamparli quei soldini.

Stessa cosa succede alla Russia; mentre negli States che succede?

Se gli USA stampano dollari, facciamo finta che stampino 500 miliardi di $, e li mettono in circolazione, questi si disperdono in tutto il mondo. Perché i “biglietti verdi” li usano sia in America che in Russia che in Vietnam, quindi l’inflazione di cui si parlava prima salirà di certo in America,  dato che ci saranno più banconote in circolazione, ma di meno dato che molti dollari finiranno in mano a stranieri, quindi non girando nel paese di origine i prezzi non si alzeranno, e non lo farà neanche l’inflazione (o per lo meno non quanto dovrebbe).

Nel 2006 circolavano 750 miliardi di dollari nel mondo: di questi 750, soltanto 250 miliardi giravano negli Stati Uniti, il resto era disperso oltre oceano.

Praticamente gli USA hanno dato 500 miliardi al resto del mondo, che felice e contento li ha accettati, dando in cambio prodotti e moneta interna, così da avere con sé la moneta più importante del mondo, una moneta che difficilmente si deprezza, una moneta che si usa dappertutto, che compra qualunque cosa. Così facendo, il resto del mondo, ha dato agli USA  500 miliardi di altre monete, grazie a questo gli stati uniti hanno una ricchezza di 250 miliardi più 500 che non sono scambiati internamente. Risultato? Un’inflazione che tiene conto di 250 e non di 750 miliardi. Interessante…

Per concludere: gli Stati Uniti possono stampare moneta e non avere l’effetto di inflazione che avrebbe un qualunque altro paese al mondo, dato che è la moneta più sicura e più scambiata al mondo, detenuta, nel 2008, dal 64 % delle persone.

Questi dati mi fanno riflettere. Mi fanno pensare agli accordi Bretton Woods, secondo i quali il dollaro sarebbe stato  l’unica valuta convertibile in oro in base al cambio di 35 dollari contro un oncia del metallo prezioso.

Il dollaro venne inoltre eletto valuta di riferimento per gli scambi.

Pensare al fatto che una guerra mondiale abbia portato questi accordi mi rende perplesso, mi fa riflettere sui fondi “tail risk”, sulla Grecia, su Fukushima, sul piano Marshall  e tante altre situazioni di cambiamento importanti nella storia.

Speculazione, ne abbiamo già parlato.

E ne parleremo ancora.

Luca Esatto

 

Italia in rosso...Ferrari!

“Viva la Ferrari” esclamava venerdì sera il comico Marco della Noce a Zelig e forse è proprio caso di dirlo tutti assieme. La Ferrari,infatti, è una delle poche aziende che non ha sofferto della crisi economica, anzi, ha incrementato del 17,3 % il proprio fatturato. Nulla di strano,altre industrie sono riuscite nella stessa impresa, tuttavia a nessuno sarà sfuggito che stiamo parlando di una casa che produce macchine stupende, ma anche decisamente care.

Lusso e crisi. Sembra un ossimoro eppure nel periodo peggiore (economicamente parlando)del nostro paese la casa di Maranello ha concluso il miglior semestre di sempre per quanto riguarda i ricavi di vendita. Vero è che però la maggior parte delle vendite non sono avvenute in Italia, bensì negli Stati uniti e negli Emirati arabi. Il primo, un paese che la crisi sembra la stia superando a grosse falcate, il secondo non è stato nemmeno toccato dalla stessa. E forse qui sta la chiave del successo della Rossa, sono entrambi paesi la cui differenza tra le fasce di popolazione più ricche e più povere è decisamente marcata e ovviamente il team marketing del cavallino avrà puntato proprio su questo, ne è un esempio l’enorme e bellissimo Ferrari’s World ad Abu Dhabi. Detto questo torniamo al discorso ricavi.

Ricavi non è sinonimo di utili. Questi,infatti, sono pressoché rimasti costanti per gli ingenti costi di ricerca e sviluppo che l’azienda di casa nostra ha dovuto effettuare,sia per quanto riguarda la monoposto di formula uno che per le auto predisposte al pubblico. Per quanto riguarda la prima,tornando alle parole del comico milanese,sembra si siano impegnati a farla andare davvero piano,per le seconde invece sembra che di meglio proprio non si potesse fare. Basta guardare la maestosità,la bellezza e la potenza delle ultime creazioni del cavallino rampante: la 458 spider e la f12 berlinetta (da poco presentata al salone di Ginevra); due bolidi che riescono a passare da 0 a 100 in poco più di 3 secondi e con un design a dir poco mozzafiato.
Tuttavia sembra che più siano belle le auto per il pubblico, meno sia competitiva la monoposto da corsa, lo diceva un noto conduttore nella trasmissione Top Gear di Sky. Ovviamente è solo un caso, però l’affermazione fa riflettere. Che la Ferrari abbia deciso di mettere in secondo piano il mondiale? Dubito,anche perché si tratta di una macchina nata per correre e la sua più grande pubblicità é il circo itinerante della Formula Uno.

Da notare però che lo scorso anno i ricavi della Formula Uno(anche con i continui tentativi di rendere divertente il mondiale di Ecclestone,alcuni interessanti, altri meno) sono stati inferiori a quelli della serie A, che tra tutti i campionati di alta fascia(Premier, Bundesliga e Liga) è quello che riscuote i minori guadagni. Che sia arrivata la fine dei giochi per le corse? Non credo nemmeno questo. Che però oramai sia diventato un gioco caro,che solo i ricconi si possono permettere è indubbio, basta vedere le ultime location dei tracciati( Cina,India etc), dove metà delle tribune erano vuote. Non un bello spettacolo. In ogni caso da tifoso e amante del corse mi auguro,che il campionato appena iniziato si rilevi più interessante di quello passato e non solo una semplice parata pubblicitaria di macchine,anche se è chiaro l’intento di Ecclestone di aumentare il giro monetario. Comunque solo il tempo ci darà il suo responso,anche se sarebbe bello almeno vedere una parvenza di sport in tutto questo e non solo più un’enorme giro di soldi.

Marco Fatiga

 

Lavorare per il lavoro

Che in Italia ci sia un problema dell’occupazione, impegnativo al Nord, tragico al Sud, è noto. Che esistano le parti sociali, che sulla carta dovrebbero tutelare le categorie lavorative è noto. Che la Repubblica Italiana sia fondata sul lavoro, dovrebbe essere noto, ma credo che molti se lo siano scordato. Che un ministro si occupi del problema dell’occupazione, e quindi del lavoro, questo non è noto. Questa è una novità, che personalmente mi stupisce. Non seguo la politica costantemente, né pretendo di comprenderne i meccanismi, suoi e di chi vi fa parte, ma da qualche anno i tg li guardo, e qualche giornale lo leggo. E voglio dire con semplicità che non ho mai visto né sentito alcun politico andare oltre le parole, in merito ai problemi del lavoro. Qualche sindacalista sì, politici mai. E’ probabile che non sia informato, che mi sia perso qualche riforma per strada, ma anche se fosse non sarebbe grave, dato che, se riforme ce ne sono state, sono state irrilevanti. Questo non lo diciamo noi, ma il 30% di disoccupazione giovanile che affligge la penisola. Quindi io un ministro che si siede al tavolo con le parti sociali, che pone ultimatum per fare una riforma del lavoro, che lavora per attuarla, non l’ho mai visto fino ad ora. Un ministro che tenta di stabilire quello che è un record da Guinness dei primati, due riforme in 5 mesi. Ma chi di noi giovani ha mai sentito parlare di riforma? Chi ne ha mai avvertito gli effetti negativi o positivi? Non so voi, ma io no di certo. E’ curioso come le persone si scordano in fretta il passato. Fino a pochi mesi fa, al dicastero del Welfare, c’era un uomo (Sacconi)  che puntava dichiaratamente a fare accordi con due sindacati su tre, estromettendo volontariamente la CGIL. Se ci riusciva addirittura se ne vantava, esultava. Ora allo stesso ministero c’è una donna (Fornero) che se non riesce a mettere tutti d’accordo si dispiace, pensate un po’ che fessa. Piangeva, Elsa Fornero, quando presentava all’Italia la riforma delle pensioni. Piangeva perché era una riforma dura, un salasso che nel breve periodo colpisce i più sfortunati, i meno privilegiati. Chi pensa che il ministro fingesse, ha una visione distorta della realtà, un eufemismo per dire che è deficiente.
Alla Prof. è toccato il compito di fare la riforma più cruciale e dura del Governo Monti. Una riforma che Helmut Kohl fece in Germania 20 anni fa, e per la quale perse le elezioni, pensate un po’ che scemo, non è stato rieletto perché si è ostinato a fare una riforma. I risultati di quest’ultima in Germania si vedono ora, da noi forse tra 20 anni. Il ministro punta sulla flessibilità, i contratti di apprendistato, l’abolizione degli stage non remunerati e diversi altri argomenti che riguardano il mondo del lavoro. Non sono in grado di dire quale di questi provvedimenti sia giusto o meno, quale si riveli utile, ma mi piace l’attivismo del ministro, questo sì. Non mi piace chi grida al complotto liberista, non mi piace chi si arrocca a difesa di un benedetto articolo 18 che  tutela una minoranza dei lavoratori italiani, scordandosi della maggioranza. Non mi piace la gente che è lì da decenni, sindacalisti e non, e che per i lavoratori mai niente ha fatto. Questo governo è fatto di uomini e donne, persone imperfette come tutti noi, di sicuro meno dei loro predecessori, che stanno cercando di fare quello che in questo paese mai è stato possibile, un cambiamento. Perché una riforma è proprio questo, un voltare pagina, azzerare il sistema e ripartire con nuove regole. Riformare qualche cosa accontenta pochi e scontenta molti, è sempre stato così,  e questa non è un’eccezione. Questo Paese e i suoi cittadini, noi tutti, dobbiamo cambiare, l’Italia va scossa dal suo letargo, dal suo idillio fatato, dal suo irreale locus amoenus e riportata al mondo. Perché la nostra nazione non funziona da troppo tempo, e la colpa non è certo di Monti e Fornero. Questi ultimi non sono due santi, due infallibili governanti o qualsiasi altra cosa, non so neppure se sono bravi professori ( forse sì) , ma ciò che è certo è che si tratta di due persone che lavorano, che non si alzano la mattina e vanno avanti a slogan, come qualche decerebrato parlamentare il cui unico merito è di votare le loro riforme, e forse anche inconsciamente. Insomma l’Italia deve cambiare passo, e dato che l’ipotesi Rivoluzione pare non sia la migliore, allora il mezzo sono le riforme. La riforma del lavoro cambia le regole, che sono la base, non promette occupazione, quello spetta a tutti gli attori della società civile: imprenditori, società civile, sindacati, imprese e Governo ( Passera). Ma il primo step è la riforma, quindi non facciamo gli italiani, e auguriamoci che passi.

Luca Orfanò
 

Il cugino radioattivo

“Bisogna allungare la durata di attività delle centrali nucleari al di là dei quarant’anni, inizialmente previsti e portarla a 60 anni seguendo il modello americano; poiché è l’energia più economia e meno inquinante”

E’ questa la strada scelta da Nicolas Sarkozy in caso di rielezione alle prossime presidenziali; il presidente uscente rimane fedele alla linea intrapresa dai suoi predecessori che hanno sempre promosso la scelta del nucleare come fonte energetica primaria, se non unica, del paese transalpino; di fronte a un Francois Hollande, candidato socialista alle presidenziali, che vuol far chiudere i battenti alla Francia in materia nucleare, bloccando lo sviluppo delle nuovissime centrali Epr cosiddette di “terza generazione”. Parigi quindi deve decidere in che direzione muovere la sua politica energetica, insistere sull’atomo, mettendo in conto costi almeno doppi di quelli attuali per mantenere sicure le proprio centrali, oppure cambiare significativamente il mix di fonti di cui si serve.

“Perché non coinvolgere anche l’Italia??”

Le centrali francesi sono gestite dalle stesse società che avrebbero dovuto costruire le centrali in Italia. Un piano interamente transalpino dove gli interessi economici del nostro Paese non esistevano.Contrariamente a quello che si crede in genere, dietro la questione delle nuove centrali nucleari in Italia, non c’erano poi grandissimi interessi economici, se non quelli francesi. Per quanto riguarda gli interessi degli italiani, questa operazionepuò esser considerata un’operazione prevalentemente politica, di immagine.

“Guadagni solo per i francesi?”

Assolutamente sì, questo è il contenuto degli accordi che Silvio Berlusconi ha firmato a suo tempo con Nicolas Sarkozy. Le centrali nucleari che avrebbe dovuto costruire l’Enel, avrebbero visto in realtà la partecipazione di una società al 50% tra l’Enel e l’Edf che è la sua consorella francese, la quale avrebbe realizzatoimpianti con la tecnologia Epr sviluppata dalla Edf e dall’Areva, i due giganti nucleari francesi. Quello che è successo in Italia fa sospettare fortemente che dietro a questa operazione, ci fosse solo pura immagine. La cosa singolare è che quando è stato lanciato questo piano nucleare in Italia, ciò che ha funzionato meglio, in maniera più tempestiva e più efficace è stata la campagna lobbistica, ovvero la comunicazione, per cui era tangibile la sensazione che ci fosse un grandissimo movimento e altrettanti interessi. In realtà i professionisti del lobbismo hanno lavorato in maniera molto intensa, ben finanziati, hanno dato questa sensazione, di avere alle spalle degli interessi economici enormi, invece probabilmente era solo il frutto di un enorme budget di comunicazione che l’Enel decise comunque di stanziare per promuovere a livello di immagine questa operazione. Tentativomiseramente fallito con la promozione del referendum agli italiani, il cui esito lo conosciamo tutti!

“Lasciare o raddoppiare?”

In Francia l'opinione pubblica comincia ad allarmarsi ed il nucleare è diventato uno dei principali argomenti nel dibattito delle presidenziali che avverranno in primavera.  Nonostante la fermezza di idee del presidente uscente Sarkozy, intento ad allungare la vita delle proprie centrali nucleari, quest'ultimo si vede costretto a far i conti con gli investimenti che il settore richiede e che probabilmente, oggi, non è in grado di finanziare, quindi la forte crescita prevista per il nucleare non ci sarà. Inoltre, dopo la  tragedia giapponese, la diffidenza nei confronti dell’atomo è lievitata  ovunque. La Germania  ha già chiuso otto  dei suoi 17 reattori: l’ultimo cesserà le sue attività nel 2022. Anche  la Svizzera ha deciso di abbandonare il nucleare, al pari del Belgio.  Perfino il Giappone ha sospeso gran parte dei suoi reattori per  ispezione (solo 9 sono attivi su 54).

Al di là delle scelte che saranno fatte, bisogna prevedere importanti investimenti per mantenere quantomeno la produzione attuale, il che rappresenta come minimo, il raddoppio del ritmo attuale degli investimenti per la manutenzione.Il costo di quest’ultima per tutti i 58 reattori di Edf è ben identificato. E’ gigantesco il costo stimato che l’azienda dovrà sostenere per mantenere gli impianti sarà pari a 55 miliardi di euro tra il 2011 e il 2025. Ciò a causa delle nuove norme imposte dalle autorità dopo il disastro di Fukushima, ma anche dell’età media degli impianti francesi: prolungare l’attività di un reattore oltre i 40 anni costa infatti estremamente caro.

Per ora i francesi saranno costretti a far durare le attuali centrali al di là dei quarant’anni, ma dovranno necessariamente e rapidamente far evolvere il sistema verso un mix energetico che preveda lo sfruttamento di altre fonti. 

O sborsare cifre stratosferiche, dunque, o scegliere le energie rinnovabili: conti alla mano, anche i nuclearisti potrebbero convincersi”.

Salvatore Vicedomini e Walter Conte
 

Speculare, che passione!

Speculazione” è uno degli hashtag più popolari dal 2008 in avanti. Molto spesso questo termine è stato impropriamente usato dai media per creare il titolone da prima pagina. Ma cosa vuol dire esattamente “speculazione”?

Il termine speculazione nasce dalla voce latina specula (vedetta), da specere (osservare, scrutare), ovvero colui che compiva l'attività di guardia dei legionari. Da qui deriva il senso etimologico di "guardare lontano" e così in senso traslato "guardare nel futuro" o "prevedere il futuro". Fin qui niente di strano, no?

L’accezione moderna del termine è invece ben più negativa. La speculazione è un atto posto in essere da un soggetto che cerca di trarre beneficio personale senza creare beneficio o addirittura creando danni per i terzi. Per fornire qualche esempio, la speculazione giornalistica è quella messa in atto dai media che ci propinano tg ansiogeni nei quali le stragi e gli omicidi vengono amplificati, senza contare le numerose trasmissioni televisive che hanno il solo scopo di SPECULARE sulla vita di personaggi più o meno famosi. Ciò di cui voglio parlare oggi è la speculazione finanziaria.

In cosa consiste? Semplificando al massimo, chi specula in Borsa compra(vende) un determinato titolo nella speranza che il suo prezzo salga(scenda), così da poterlo rivendere ad un prezzo più alto(basso) e trarne profitto. Così facendo il prezzo dei titoli viene manipolato, oscillando ad altalena e creando incertezza e rischio, condizioni assolutamente svantaggiose per l’impresa che ha emesso quei titoli. Perché dunque è permesso mettere in atto un simile comportamento?

1)    Siamo in un libero mercato, che diamine! Nessuno può impedirmi di comprare o vendere un certo titolo, né tantomeno indicarmi quando devo farlo

2)    La speculazione porta LIQUIDITA’. La liquidità consiste in un mare di soldi che circolano, invece di restar fermi nelle tasche o nelle banche. I soldi vengono utilizzati per intraprendere investimenti. No speculazione, no liquidità, no investimenti = STAGNAZIONE!

Ed ora veniamo al punto centrale. La crisi dei debiti pubblici che stiamo affrontando tutt’ora è causa della speculazione delle varie banche d’affari/hedge fund/fondi di investimento statunitensi che si divertono a prenderci per il culo?
Le CAUSE che hanno creato un problema di debito pubblico sono frutto decisioni politiche ed economiche ERRATE. Parlando dell’Italia, l’eccessiva e mal gestita spesa pubblica, la pressione fiscale alle stelle, il mercato del lavoro stagnante e retrogrado e l’incolmato divario tra Nord e Sud sono solo alcuni dei motivi che hanno fatto sì che negli ultimi 30 anni l’Italia spendesse più di quanto era in grado di produrre. I malvagi della finanza entrano in gioco all’inizio della cosiddetta crisi dello “spread”. Questo famigerato parametro che si alza vertiginosamente, si riabbassa, risale come un razzo per poi crollare da un giorno all’altro è il frutto della speculazione. I grossi intermediari finanziari mondiali hanno guadagnato milioni e milioni di dollari comprando e vendendo i nostri titoli di stato da un giorno all’altro, cavalcando così le onde dello spread come i migliori surfisti californiani.

Perché ora lo spread è sceso e sembra che tutto sia finito? Perché la BCE ha iniettato ben 130 miliardi di dollari per comprare titoli di stato europei. Il messaggio è questo: la BCE ha stabilizzato i prezzi per far capire che è lei che comanda (e ce credo, può stampare denaro!), una sorta di avvertimento ai bulli della speculazione che si divertivano a maltrattarci.

Concludendo possiamo affermare che la speculazione è sicuramente dannosa se eseguita su vasta scala come è stato fino a qualche mese fa, tuttavia non possiamo scaricare ad altri le nostre colpe. Paesi come la Grecia e l’Italia sono finiti nel mirino per la loro fragilità politica ed economica che NON C’ENTRA nulla con la finanza. Gli speculatori hanno sentito l’odore del sangue e ne hanno approfittato ma non sono stati la causa  scatenante. E’ bene quindi distinguere le due cose in modo da vederci chiaro e non farsi abbindolare dalle solite stronzate propinateci sempre dai soliti tg (speculatori peggio delle banche) e dai politici paraculo.

Cristiano Ventricelli
 

I Supermario, la Direttrice e il Presidente

Sono talmente tanti i meeting dei leader europei ogni settimana, di vario tipo, da sembrare quasi routine, noiosa e macchinosa burocrazia su scala continentale. Per certi versi è così, per altri qualcuna di quelle riunioni si è rivelata determinante, in positivo o in negativo, dipende dai punti di vista. Le domande che vorremmo porre a questi leader sono varie, del tipo…Che state combinando? Qual è la vostra linea di politica economica (leggi: Che fine faremo ? Lavoreremo? ) ? Domanda da un milione di dollari ( o di euro? ) : a chi tocca dopo la Grecia?  Le tappe sono segnate. Lunedì scorso l’Eurogruppo ha deciso di mandare ad Atene un bell’uovo di pasqua in largo anticipo con dentro 130 miliardi. Di cui 14,5 gli serviranno per ripagare bond nazionali in scadenza il 20 marzo. Tra spese militari, per cui la Grecia spende in media all’anno 7 miliardi, debiti coi creditori privati, non sappiamo quanto gli resterà, possiamo solo augurargli che  basti. Tra il 30 e il 31 marzo i ministri delle finanze UE si riuniranno a Copenaghen per decidere il rafforzamento del Fondo Salva Stati. Si tratta di una specie di cassa comune, come quelle che fanno i ragazzi quando vanno in vacanza insieme, le precondizioni sono due però: perché la cassa funzioni ciascuno deve contribuire con la medesima quota, e poi serve fiducia reciproca.

Qui mancano entrambe, speriamo vivamente che i ministri a Copenaghen non guardino la Sirenetta, ma prendano decisioni. A chi tocca dopo la Grecia? Al Portogallo. Il Paese di Barroso non se la passa bene, e nemmeno i portoghesi. Le cifre parlano di un deficit di bilancio del 9,3%  del PIL , il parametro per restare nell’euro è del 3% del PIL. Sforato di poco. Gli servirebbero aiuti di proporzioni greche, ma chi glielo dice ai tedeschi?? Ultimamente questi ultimi non sono ben visti nemmeno dai portoghesi, un’intervista dell’estate scorsa riporta uno sfogo del leader lusitano Soares, che il suo paese nell’UE ce lo ha fatto entrare. Soares sbotta sostenendo che gli stati insolventi dovrebbero rifiutarsi di obbedire alle richieste tedesche, “…non vedo come a dettare legge possa essere la Germania, responsabile di due guerre mondiali…”. Pensate un po’ che bel clima di fratellanza europea che si respira. Forse può essere più di aiuto capire cosa sta succedendo in Europa, e negli USA, cambiando punto di vista. Le decisioni in materia di politica economica per i paesi deboli dell’Unione fino ad ora le ha prese la cosiddetta Troika. Un trio formato da Bce, Fmi e Commissione Europea. Un trio che più che da queste istituzioni sembra composto dalle tre Moire, le figlie di Zeus Lachesi Cloto e Atropo. La prima filava, la seconda svolgeva il fuso e la terza tagliava, ponendo fine alla vita.
Non voglio dire che le politiche della Troika stanno ammazzando gli stati a cui sono rivolte, ma quasi. A tutto questo forse una spiegazione e anche una soluzione, forse esiste. In Europa comanda la Germania, la Merkel. E’ la cancelliera che detta la linea della Commissione Ue, che limita le operazioni della Banca Centrale, per il semplice motivo che ad avere più soldi è la Germania. Quindi la massaia ( Merkel) supportata dal suo cagnolino ( Sarkozy) non cede dalle proprie posizioni rigoriste, a volere una regola per il bilancio pubblico, il famoso fiscal compact, è stata proprio lei infatti. Chi dall’interno dell’Unione, fin da quando ha avuto il potere, ha preso misure a favore della crescita, oltre che del rigore, è stato Mario Draghi, affiancato dal più marginale ma comunque fondamentale ruolo svolto da Mario Monti in Italia. Il Governatore appena nominato ha abbassato i tassi di interesse, ha inaugurato una serie di prestiti alle banche al caritatevole tasso dell’1% . Questi sono solo alcuni dei provvedimenti intrapresi da un uomo che siede forse nella più importante istituzione comunitaria, un pilastro fondamentale dell’Unione. Se l’aiuto interno quindi è arrivato dai Supermario, quello esterno viene da New York. Christine Lagarde, direttrice dell’FMI, è in rotta di collisione con Angela Merkel. Due opposte visioni dell’economia, abbastanza ovvio visto che la prima ha una laurea in materia, la seconda la laurea ce l’ha in chimica. Anche la direttrice Lagarde, come il suo predecessore Strauss-Kahn, non vede di buon occhio i vertici dell’eurozona.

Al di là dell’Atlantico non si capacitano dell’assenza di politiche per la crescita. La visione a senso unico della Germania, l’austerity prima di tutto, i conti pubblici prima ancora dei posti di lavoro, stanno portando l’Europa alla deriva. Il Fondo Monetario chiede un rafforzamento del Fondo Salva Stati tanto da arrivare alla cifra di 750 miliardi di euro, livello ritenuto sicuro per evitare che il problema greco possa diffondersi in tutto il continente. Ma chi c’è dietro Christine Lagarde? Perché mai al Fondo Monetario interessa così tanto il destino dell’euro e dell’Europa, che sembra impotente di fronte alla crisi. L’ombra di Barack Obama è anche qui, stavolta non c’entra l’uomo, bensì la carica che ricopre. Il FMI è finanziato dagli stati che ne fanno parte, è come un’azienda, il cui azionista di maggioranza sono gli Stati Uniti. Il Presidente quindi ha tutto l’interesse che i soldi del suo paese, dei contribuenti americani, vengano spesi bene, cioè con politiche finalizzate alla crescita e alla creazione di posti di lavoro. E’ il modo in cui si stanno spendendo i soldi nel suo Paese, e i dati gli danno ragione. In America l’occupazione è in crescita da 24 mesi consecutivi, noi, con la calcolatrice in mano, stiamo a guardare.

Luca Orfanò
 

Troppo Call of Duty?

Era un banale giorno di lavoro per me, settembre;  verso le 11.30 del mattino arriva un ragazzo in divisa, un tipo sui vent’anni, alto, sguardo profondo, fisico imponente, capello cortissimo… Cominciamo a chiacchierare e mi racconta che è un soldato, del fatto che prende molti soldi per stare lontano da casa e “dare una mano”, perché le missioni che fa sono tutte missioni di pace. Io mi sento orgoglioso, adesso conosco un militare, un ragazzo della mia età che dà una mano a chi sta peggio di noi …

21 febbraio 2012: versione ufficiale USA: “militare americano massacra 17 civili tra cui donne e bambini. Sgozzati. Bruciati.”

Sembra però che ci siano opinioni discordanti, fonti anonime del governo Karzai dicono che a sparare non sarebbe stato “un solo soldato”, ma addirittura un gruppo di militari ubriachi, che “ridendo” avrebbero sparato all’impazzata su uomini,donne e bambini. Senza pietà. Versione inoltre confermata da alcuni parenti delle vittime.

La notizia è smentita dal Pentagono… ovviamente.

Sì, perché se fossi uno che vede del marcio in tutto, e non lo sono, penserei che questi ragazzi americani, o meglio statunitensi, sono semplicemente dei bastardi che godono nell’uccidere.

Ma non sono uno che vede del marcio in tutto. Addirittura c’è chi dice che per insabbiare la faccenda il Pentagono avrebbe scelto questo povero soldato come capro espiatorio… ma figurati!

-          21 marzo 2011: il pastore Wayne Sapp brucia un corano in Florida.

-          12 gennaio 2012: quattro marines si divertono mentre URINANO su tre cadaveri   talebani appena uccisi.

-          21 febbraio 2012: soldato in preda a un raptus massacra 17 civili e ne brucia alcuni

Curioso notare che il “giorno” è sempre formato dalle cifre 1 e 2. Ma questo è un altro film.
Quanto costa tenere dei pazzi scatenati oltreoceano al Pentagono?

In 10 anni oltre 500 miliardi di dollari. (500.000.000.000 $).

Meno male che ci sono anche soldati che aiutano invece che uccidere civili.

Quanto costa invece a noi italiani la “missione di pace” in Afghanistan? Più di 2 milioni di euro al giorno.

Sai quante caramelle ci compri con 2 milioni di euro in un giorno? Tante da farti venire almeno un bel mal di pancia.

Quante famiglie in difficoltà si aiutano con 2 milioni di euro al giorno? Quanti giovani potrebbero trovare lavoro con 2 milioni di euro al giorno? Quanti ospedali senza tetti che cadono si potrebbero costruire e mantenere con 2 milioni di euro al giorno? Quanta ricerca medica in più con 2 milioni di euro al giorno? Quanti giocattoli ai bambini negli orfanotrofi con 2 milioni di euro al giorno?

Pensi che mi stia ripetendo un po’ troppo? Beh allora conta fino a 2.000.000 ogni giorno e poi rifletti.

Dal 2002 c’è la “missione di pace”:

3000 soldati italiani.

Più di 4 miliardi di euro spesi fino ad oggi.

Quasi quasi vi comincio a dire cosa ci fate, con 4 miliardi di euro.

Luca Esatto
 

Ipad, "illusione" per gli occhi

Il 7 marzo,per la felicità dei fans,dopo innumerevoli voci e rumors,si è svolto a San Francisco,sul palco del Yerba Buena Center,il lancio della tanto attesa nuova versione del tablet della casa con la mela. A presentare il Ceo di Apple,Tim Cook,che non sarà Steve Jobs,ma è comunque il fattore più temuto dalla concorrenza,oltre al tablet in sé ovviamente; sanno tutti,infatti, quanto una presentazione possa incidere sui guadagni futuri di un prodotto. Cook tuttavia,pur non deludendo,non brilla. Si limita a presentare numeri,dati e grafici sui possibili risultati del pad,senza mai però mettere la passione e il carisma del suo predecessore(trapela infatti tra gli spalti qualche sbadiglio). In ogni caso il  prodotto è buono,molto buono anche se forse da un’azienda come Apple ci si aspettava di più. Il tablet si chiama Ipad,non Ipad 3 come qualcuno erroneamente aveva preannunciato, ha sia la CPU più veloce che lo schermo Retina, che la tecnologia LTE, proprio come le prime indiscrezioni affermavano.  Tuttavia per permettere al “miglior schermo di tutti i tempi”(così è stato definito da Cook)di deliziarci,all’Apple hanno dovuto aumentare lo spessore del tablet che passa 8,8 millimetri a 9,3. E forse proprio su questo giocherà la concorrenza, per esempio Samsung ha già presentato il Galaxy note 10.1 a Barcellona,un prodotto pressoché identico ai precedenti se non fosse per la grandezza dello schermo,un Tablet che non può comunque impensierire il nuovo Ipad.
Detto così,sembrerebbe però,che l’azienda di Cupertino,leader indiscussa nella tecnologia negli ultimi anni,abbia creato l’ennesimo prodotto perfetto inattaccabile e inarrivabile. Non è così,almeno per ora. Le azioni della mela non sembrano risentirne(hanno infatti toccato quota 600 dollari) e le code davanti ai negozi specializzati sono gremite di gente che vuole il nuovo gioiello di casa Apple , tuttavia il nuovo Ipad appare molto lontano dalla perfezione. Mancano infatti alcuni elementi fondamentali:

·         La tecnologia Nfc ,tecnologia che permette i pagamenti mobili;

·         L’assistente vocale Siri,con la quale si può dettare al proprio Tablet(in Android è già presente come in windows 8,e forse anche su questo punteranno i concorrenti);

·         Una porta usb, per molti non è un problema, ma vi sono parecchi pareri discordanti su questo;

·         La tecnologia 4g,che permetterebbe di scaricare i dati ancora più velocemente in Italia non ci sarà, non per problemi al tablet, ma proprio perché manca la rete adatta(si continuerà ad utilizzare la tecnologia 3g);

In ogni caso il prodotto è ottimo,ma sembra quasi che l’idillio Jobs stia finendo come sembra stiano finendo l’egemonia e le idee di Apple. Sicuramente l’assenza del capitano,nonche grande showman Steve,si fa sentire, anche se non si può attribuire tutta la colpa alla sua scomparsa.

Apple rimane prima nei mercati di vendita nei suo settore, ma resta un senso di incertezza sul quando e se la bolla Apple Inc. scoppierà(sempre che la bolla sia vera). Tuttavia il sentore è che i tempi stiano cambiando.

Marco Fatiga